Musica 101 – cosa rende “classico” un classico

Perché una particolare composizione o brano musicale viene definita oggi un “classico”, una “pietra miliare”? Può sembrare una domanda banale o inutile, eppure non è facile rispondere oggettivamente: in quanto esseri umani, infatti, tendiamo a guardare le cose da un punto di vista personale, soggettivo, ben focalizzato. Tuttavia, non possiamo non riconoscere in determinate opere un concetto di “bellezza” che è universale, imprescindibile dal giudizio personale: per quanto una cosa non possa piacere, non significa che non abbia valore. Che sia proprio quest’ultima frase la risposta che si sta cercando?

Prendere l’arte come campo d’indagine è la cosa forse più facile e immediata che si possa fare per questa ricerca. Per quanto concerne la musica (ma si possono trovare parallelismi anche in altre arti, come la pittura o la letteratura, eccetera), nel corso dei secoli ci sono state svariate generazioni di compositori o artisti che sono finiti nel dimenticatoio o perché le loro produzioni fossero l’ennesimo esempio di una prassi compositiva consolidata o perché troppo banali o troppo difficili (lo stesso Johann Sebastian Bach viene definito “vecchio” e complesso musicalmente dai suoi contemporanei). Da un ulteriore punto di vista, si è ben consapevoli della compresenza di musica seria e leggera, colta e popolare, dove sussiste un continuo scambio di “estetiche” e prassi scrittorie. Eppure ci deve essere un motivo per cui ci si è dimenticati di qualcuno o perché, da ascoltatori, spesso digeriamo solo a distanza di anni un determinato modo di fare musica: per fare un esempio, l’arte del campionamento o sampling, ovvero prendere porzioni di brani esistenti per farne altri, viene attribuita ai rapper newyorkesi degli anni Settanta, ma tale pratica era in realtà già consolidata decenni prima (sia in ambito tecnologico, come i suoni del Mellotron, sia in ambito artistico come nel caso di Pierre Schaeffer e del suo “Étude aux Chemins de Fer” del 1948).

In realtà, la risposta era proprio quella all’inizio di questa digressione: un classico è tale perché è bello. Il concetto di “bello” non è qui soggettivo, ma oggettivo, universale. Tale idea era già chiara a Platone che immaginava il mondo come una proiezione corrotta di un altro mondo, irraggiungibile e ideale, dove risiedono i veri valori di bellezza: gli artisti non sono altro che creature capaci di intuire sensibilmente questa bellezza, riuscendo così a mostrarla a chi non riesce a intuirla. La capacità di un classico è proprio quella di trascendere le tecnologie e le mutazioni del vivere, riuscendo camaleonticamente a far parlare di sé in maniera sempre attuale. Capita spesso di discutere sul valore di un’opera, specialmente oggi dove ci si trova davanti a tanti artisti destinati al dimenticatoio, la cui musica rimane un fenomeno prettamente legato a una moda. Erroneamente si pongono domande sullo stato dell’arte, ignorando i fattori alla base del successo di un brano o di un’artista (che spesso è legato al business della musica e non all’arte in quanto tale), discutendo di valori pensando alla propria definizione di musica, tralasciando così quella degli altri. Ebbene, non c’è da disperarsi: i classici rimarranno classici e ne nasceranno sempre di nuovi, ma ce ne si accorgerà solo col passare del tempo. Nell’attesa, si può sempre imparare a capire perché la “Sinfonia n. 9” di Ludwig Van Beethoven rimarrà sempre un classico e “Pem Pem” di Elettra Lamborghini no.

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