La movida triestina: il mutare del tempo e delle persone

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Vivere in un paesino può diventare un’arma a doppio taglio: se da un lato uscire la sera è l’occasione d’incontro di una grande famiglia, dall’altra il rischio di essere ‘adocchiato’ è dietro l’angolo. A volte conoscere ogni singolo avvenimento della vita di chi ti circonda diventa una stanza dalle pareti sempre più strette che, con lo scorrere del tempo, intrappola in una claustrofobica abitudine. La cosa che più mi colpisce di Trieste, in un primo momento, è l’indifferenza, quella sensazione di poter essere chi vuoi senza che nessuno ti presti particolare attenzione. Le mie prime uscite sono in Viale XX Settembre insieme ai miei compagni di Università dove, in un primo periodo, troviamo in un bar molto singolare nell’aspetto il nostro punto d’incontro. Il locale è piccolo, soffuso e quasi sempre vuoto, se non fosse per il gruppetto di studenti di storia e filosofia che settimanalmente lo riempie. Ogni tanto c’è qualche concerto, birra gratis e panini enormi. Si crea una piccola comfort zone per noi studenti fuori sede, con i consolidati gruppi di amicizia lontani chilometri e persone appena conosciute, ancora da scoprire, come unico appiglio. La nostra prima sicurezza scompare dopo pochi mesi insieme alla chiusura del bar: ora non resta che scoprire la città. Imparo che la celebre movida triestina da pochi anni si concentra in Via Torino, una strada pedonale a pochi metri dalla Città Vecchia triestina, incorniciata da locali e ristoranti. Qui tutto è a portata di mano e i locali, molto vicini tra loro, danno l’idea in un paesino all’interno della città. Nel corso del tempo, in realtà, la vita notturna non si è spostata di molto: dalle viottole vicine a Piazza Unità, insieme a Cavana e Via Diaz, la movida decide di insediarsi pochi passi più in là fino ad arrivare ai piedi di Piazza Venezia. Nonostante l’esistenza di questa piccola oasi mondana, il Viale XX Settembre resta parte fondamentale del famoso ‘mercoledì universitario’ per molti studenti, compresa me: un momento di svago dove il proprio gruppetto si incontra al di fuori delle mura scolastiche. Fare festa in città è strano: ogni notte hai la possibilità di conoscere qualcuno di nuovo, che può trasportarti in qualche nuovo dialogo, qualche nuovo luogo o, perché no, qualche nuova avventura, con persone che probabilmente non rivedrai più. Le amicizie di una sera, che portano sconosciuti nella tua vita per poi farsi dimenticare la mattina successiva, lasciano spazio ad una consapevolezza: più passa il tempo più per Trieste riconosci volti, impari storie e memorizzi aneddoti. In poco tempo ritorni nel piccolo, nel paese dove chiunque sa tutto di tutti. Vorrei poter dire che tutto il mondo è paese, ma Trieste può dare quello che un paesino difficilmente possiede: la versatilità, la capacità di mostrarti ad ogni angolo un volto sconosciuto che può immergerti in una nuova storia da scrivere o ascoltare. Di notte per le strade di Trieste puoi trovare davvero chiunque: l’amico, il compagno di corso, un ubriaco, un pazzo, un cartomante, un venditore di rose, un metallaro, l’amore della tua vita, un travestito, un disperato ; e tutto d’un tratto vieni risucchiato nella canzone ‘Gente della notte’ di Jovanotti, con le tue cuffiette, le tue mani in tasca e gli occhi che si spostano da un lato all’altro, felici di trovare nelle persone circostanti tutte le parole che ti rimbombano nelle orecchie. E così la notte si tinge di viola, di un’aura misteriosa che strega, intriga e trasforma la gente per quelle poche ore in animali notturni, pronti a sprigionare chi sono, o pensano di essere, in quel momento oppure, ancor più spesso, interpretano il ruolo che di giorno non possono ricoprire. La cosa più paradossale è che il preoccuparsi su cosa la gente ricorderà il giorno dopo passa in secondo piano. La sera ha le sue regole e non combacerà mai con le ore diurne. Ed è proprio per questo, nella mia esperienza a Trieste, che spesso ’La notte fa sembrare tutto sempre un po’ più bello’

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