Massimiliano Alberti, “L’invitato”: l’inguaribile amicizia di un romanzo

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Massimiliano Alberti nasce a Trieste nel 1979; la Trieste di James Joyce, Italo Svevo e Umberto Saba. La Trieste fatta di sincera amicizia, di passioni e di libertà. L’invitato” è il suo primo romanzo; il romanzo di uno scrittore che “ama scrivere alla sera e rileggere alle prime luci dell’alba. Alla continua ricerca della perfezione”.

Un romanzo d’esordio per un nuovo scrittore triestino; un lavoro importante. Ci lavori da tanti anni?

Sei anni, si. A questo romanzo ho dedicato, con molto piacere, molti anni della mia vita.

Le tue motivazioni, Massimiliano? Come mai hai iniziato a scrivere?

Ho lavorato fuori Trieste per tanti anni, per un’importante azienda del caffè, e, trascorrendo molto tempo via da casa, mi sono avvicinato moltissimo alla lettura. E’ una mia grande passione, sono un grande lettore; il tempo che avevo a disposizione dopo il lavoro durante i miei viaggi, quando ero da solo, mi ha permesso di diventare… un lettore ancora più grande. Poi ho iniziato a provare a scrivere, nel 2006 credo: prima qualcosa di breve, poi via via sempre di più. Ho vinto un concorso al Teatro Litta di Milano nel giugno del 2012, da lì ho preso coraggio e ho iniziato a scrivere narrativa. Fra i generi è sempre stata la forma che mi ha attratto di più: Mordecai Richler, Nick Hornby i miei preferiti … Wilde. Fitzgerald. Erich Segal.

E fra tutti?

Wilde.

Autori importanti. Scrittori e sceneggiatori eleganti, complessi. Appassionato da sempre, di letteratura, quindi; già da ragazzo…un dandy.

Ah ah, sarà, così dicono…

E Marilyn? C’è lei, in copertina.

Marilyn e i tre amici. Come vedremo, Marilyn è la bellezza, l’intoccabile… la musa. E mi ricorda per certi versi anche mia madre.

Parlami di te.

Come ti dicevo ho iniziato a scrivere nel 2006, avevo appena visto la mostra di Warhol, poi ho visto le opere di altri artisti Pop e poi Steve Kaufman qui a Trieste, dove ho incontrato Alberto Panizzoli. Ho pensato così di scrivere una narrativa che sia il più divertente possibile, entusiasmante. Una storia scritta con molta attenzione al linguaggio. La bellezza del linguaggio è per me la cosa più importante.

Ci tieni molto, quindi? A questa bellezza, a questa nostra lingua italiana?

Tantissimo. La bellezza del linguaggio; la ricerca della parola.
Lavorando in un’azienda che ricerca l’eccellenza, ho assorbito questo desiderio e lo porto dentro di me. Sono un perfezionista. No, aspetta, credo non sia la definizione giusta: la mia è una ricerca della bellezza nella lingua italiana, non una ricerca della perfezione ma della bellezza. Ecco. Bellezza in un libro scritto in italiano, perché i testi tradotti sono comunque interpretazioni del testo originale dell’autore, e per quanto possano avvicinarsi moltissimo a quell’originale non lo possono diventare.

E qual è stato l’ingrediente segreto nella tua ricerca della bellezza?

L’uso di una forma classica ma che viene riproposta nel contemporaneo. Come in un quadro Pop: l’immagine di qualcosa che esiste oggi circondato – immerso – in una cornice classica.

Quindi è uno stile Pop? O uno stile ricercato?

Pop. Riporto il passato – il passato linguistico italiano, non quello storico – in una chiave moderna accessibile a tutti. Lo declino quindi al contemporaneo.

Un accostamento strano.

Una sfida.

Interessante. La trama?

Non mi piace rivelare la trama. Sarebbe un triste copia e incolla della sinossi. Quello che posso dire è che è una storia di amicizia. Di passione e ironia. Storie vere dunque. E’ quasi teatrale, con molti discorsi diretti, a volte lunghi. Mai banali.

E sei anche tu un amante del bel vivere? Come i tre amici?

Certo. La vita è una è merita di essere vissuta al meglio! Non rinuncerei mai a un bicchiere in controluce con i miei più cari amici.

Vienna è una città che conosci molto bene, per averci vissuto. La differenza più grande fra Vienna e Roma?

L’ordine di Vienna. E il rispetto per le persone.

E fra Roma e Vienna?

Che è sempre stata così e rimarrà così. E’ straordinaria e immutabile; Roma è Roma.

E Trieste?

Trieste l’amo. Vienna la desidero.

Il mio sogno sarebbe essere l’erede del bel linguaggio, prenderne il patentino. Desidero fare della bella narrativa.
Mio nonno, che non ho conosciuto, ha fatto con le sue mani il San Giusto d’Oro; mi piacerebbe riportarlo a casa, manca da cinquant’anni sulla mensola… Un sogno. Chissà.

Massimiliano Alberti. Chi è Massimiliano Alberti?

Nipote di Tristano Alberti, scultore. Nato fra i bozzetti del nonno e le sue sculture, finite o incomplete. Influenzato molto da lui, e dal modo eclettico che aveva di affrontare le cose e che traspare dai suoi disegni, dai suoi quadri… sicuramente è stato quel tocco di sua personalità che mi ha dato il coraggio di prendere la penna e iniziare a scrivere.

E se ti spogliassimo da questo e ti chiedessimo: chi sei, Massimiliano – senza Alberti? Perché scrivi?

Per riportare l’entusiasmo e il piacere di una lettura che diverta. Nel nostro mondo di ogni giorno leggiamo e scriviamo molto di cose tristi, moltissimo di problemi. Io cerco di parlare di cose positive. Pur, a volte, con una certa malinconia, ma mai fine a sé stessa: quella malinconia che fa chiudere il libro al lettore lasciando un punto di domanda.

Saudade.

Si, quel ricordo di quel qualcosa di speciale che forse non c’è più, e che ti lascia dentro il desiderio di riviverlo. L’accettazione del passato e la fiducia nel futuro. Irrazionale, forse, ma vera. Profonda.

È una storia a colori o un libro in bianco e nero? E non intendo nella stampa.

Una storia assolutamente colorata. Un libro coloratissimo, con molta gioia di vivere. E dove c’è malinconia, dove i sentimenti vengono descritti per quello che sono, dove emergono l’egoismo, la bruttezza di un carattere, emergono comunque l’ironia e la speranza. Non sono troppe pagine, puoi leggerla velocemente, la storia… ma se ti ci soffermi un po’ di più, può darti molto. E i colori della Pop Art sono la cosa che mi emoziona di più.

Con quel qualcosa di autobiografico…

Sicuramente un po’ di vita vissuta c’è. Soltanto le storie fantastiche non sono autobiografie. Nella storia, un po’ di verità c’è; “ogni riferimento a persone o fatti realmente accaduti è puramente casuale”. Qualche caricatura di personaggio c’è.

E un po’ d’erotismo?

Ironico. Quell’erotismo che prende in giro i protagonisti più che gli altri. Anche nelle loro esperienze.

La Pop Art?

È come una canzone che devi ascoltare almeno due o tre volte prima che riesca a entrarti dentro. Però, poi, quando comincia a far parte di te, ti rivela cose meravigliose. E anche un’opera d’arte la devi guardare almeno due o tre volte, e con attenzione, per poter iniziare a capire che cosa voleva esprimere l’artista, la persona che l’ha realizzata. E la Pop Art, nel libro, diventa parola. Assume una forma nuova: arte, immagine, e infine parola. La storia “L’invitato” è contemporanea, immersa nella classica di Vienna, così come Marilyn in Pop Art ha attorno a sé una cornice tradizionale.

I tuoi prossimi progetti?

Scrivere e scrivere ancora. “L’invitato” sta già venendo tradotto in tedesco, inglese e francese.

E questo libro, quindi, è un punto d’inizio? L’inizio di una storia più lunga, con altre imprese dei tre amici?

Forse. Chissà. Forse sarà una trilogia. Certamente la storia non finisce qui.

Roberto Srelz © centoParole Magazine

 

[“L’invitato“, romanzo di Massimiliano Alberti. Prefazione di Francesco De Filippo, postfazione di Alberto Panizzoli, con un ringraziamento a Diana Vachier di American Pop Art. Edito da Infinito. Foto di Nik Pichler e Roberto Srelz]

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