Fumetti per Gioco 2016: Manuela Sterpin e la Fantasya

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robertosrelz_rd-2438Manuela Sterpin: gioco, passione, Fantasylandia, Fumetti per Gioco … iniziamo da oggi.

Come, da oggi?

Da oggi, quindi quasi dalla manifestazione di quest’anno … mancano pochi giorni. Com’è organizzare una manifestazione come Fumetti per Gioco, che ha una sua storia, una struttura articolata e migliaia di presenze?

In questo momento è molto faticoso. Dipende però da più cose che sono accadute attorno al gruppo che l’organizza e che hanno causato ritardi, non dalla manifestazione in sé, che quest’anno si svolgerà il 12 e 13 novembre al Palazzetto dello Sport Calza di Chiarbola e che ha anzi un programma ancora più ricco del solito: quindi devo dire che mi sta dando molta soddisfazione. Quando lavori e vedi che le cose iniziano a prendere forma, che il risultato che stai ottenendo è buono, lo fai con piacere. Organizzare una manifestazione, e farlo bene, vuol dire impegnare molto tempo e molte risorse; possono essere economiche, umane, materiali … l’impegno, comunque, è gravoso. Richiede professionalità; è un lavoro vero e proprio.

Un lavoro d’organizzazione che impegna quante ore?

Nell’ultimo mese, tra le sei e le otto ore. Quasi ogni giorno.

Un lavoro a tempo pieno.

Si. Nell’ultimo mese prima della manifestazione è sempre così; stiamo lavorando a pieno ritmo dai primi di ottobre. E anche nel momento in cui lo fai nel tuo tempo libero, magari con tempi diversi e affiancandolo al tuo lavoro principale o ai tuoi altri impegni, nell’arco dell’anno, se sommi tutte le ore che hai speso e vuoi fare le cose bene, in termini di giornate sono fra i due e i tre mesi di lavoro. Un paio d’ore al giorno: quasi ogni giorno, quasi ogni settimana, e spesso il sabato e la domenica.

FRONTE A5Per Fumetti per Gioco, questo è l’ottavo anno.

Otto anni di manifestazione: sette edizioni di Fumetti per Gioco (due al Salone degli Incanti, due alle Torri d’Europa, e, con questa, tre al Palazzetto di Chiarbola) e una di Game alla Fiera di Trieste. Questo ci dà qualche vantaggio: l’esperienza ci permette di sapere già le cose principali che vanno fatte, il quando, e il come. Sul ‘chi’ certe volte siamo un po’ carenti [sorride]. Ci si può dedicare quindi di più alle cose nuove da portare in manifestazione, senza trascurare le altre ma sapendo già come sbrigarle alla svelta, ed è per questo che siamo in grado di andare alla fase operativa anche con solo tre, quattro settimane di anticipo e contando su un gruppo di collaboratori principali tutto sommato ridotto. Lo scheletro della manifestazione è solido e ben conosciuto: ogni nuova edizione porta qualcosa da metterci sopra. La base è solida: questo mi fa pensare che il lavoro fatto negli anni sia stato fatto bene, nella maniera giusta.

E tu ci sei dall’inizio.

Si. Abbiamo iniziato a lavorare sull’idea di Fumetti per Gioco nel 2008, in poche persone, e poi pian piano abbiamo allargato il gruppo coinvolgendo praticamente tutte le realtà associative triestine del settore; la nostra primissima edizione – Game, la “numero Zero” fatta all’interno della Fiera di Trieste, è stata quella del 2009.

robertosrelz_rd-2352Cos’è Fumetti per Gioco per Trieste, secondo te?

Vorrei che fosse qualcosa che contribuisce al rilancio di Trieste, della città; la manifestazione lo è già, ma mi piacerebbe molto vederla ingrandire, continuando sulla strada delle collaborazioni già iniziate con i paesi vicini. Trieste è in una posizione geografica del tutto particolare, per certi versi sfortunata, però è una delle porte sull’Europa. La Slovenia, la Croazia e molti dei paesi europei dell’est non hanno grosse case editrici, o molte occasioni di esprimere artisti del fumetto, della sceneggiatura, del gioco, o manifestazioni come la nostra. Ci sono i giochi e le edizioni inglesi, qualcosa di tradotto, e poca produzione nazionale: è una realtà che si sta aprendo. Fumetti per Gioco può continuare a essere la manifestazione locale che è sempre stata – quella dedicata ai ragazzi di Trieste e delle città vicine, alle famiglie – ma può diventare qualcosa di più. Il nostro punto di riferimento è sempre stato quello rappresentato da Lucca Comics and Games: non possiamo né potremo mai diventare Lucca Comics, però potremmo essere un punto geografico in cui il gioco organizzato, il Cosplay, il fumetto incontrano l’est Europa, sul modello di Science+Fiction o di Far East Film Festival. Perché no. Per Fumetti per Gioco, i diecimila partecipanti su tre o quattro giorni di manifestazione annuale sono un numero raggiungibile.

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Il gioco da tavolo – il boardgame – come momento di socializzazione, anche all’interno delle famiglie, ha ripreso a essere molto amato.

Si, soprattutto in Germania e nei paesi anglosassoni. E pian piano anche da noi. È iniziato prima in Germania perché il modo tedesco di vivere il gioco è diverso dal nostro: le famiglie giocano a tavola, cosa che noi in Italia abbiamo smesso di fare con … Monopoli e Risiko? Negli anni Ottanta? Credo qualcosa del genere. In Germania, invece, ha continuato a essere un passatempo classico: giocare di tanto in tanto a un gioco in scatola a casa è normale. Ora il gioco in scatola, il gioco da tavolo, sta venendo riscoperto anche in Italia: negli ultimi due o tre anni, e questo posso dirtelo anche da un punto di vista imprenditoriale, abbiamo notato un forte rilancio, con molti acquisti.

E secondo me questo è anche il punto più importante della nostra manifestazione: ciò che abbiamo sempre voluto portare è un messaggio, un invito a socializzare, a giocare assieme: famiglie ma non solo, giovani e più grandi, uomini e donne, ragazzi e anziani. L’invito a fare qualcosa assieme.

robertosrelz_rd-2253E il fumetto e il Cosplay? In cosa si differenziano, come messaggio, dal gioco, all’interno dell’evento?

Fumetto e Cosplay , per Fumetti per Gioco, rappresentano cose altrettanto importanti: sono proposti assieme al gioco e non in alternativa o in contrapposizione, e questo vale per tutte le attività. Il fumetto, però, come momento di socializzazione è certamente diverso dal gioco: come prima cosa, è spesso un’esperienza individuale, e poi è indirizzato, a seconda della sua tipologia, a target ben precisi: per età, per tipologia dei contenuti … soprattutto il Manga, ormai molto conosciuto anche in Italia ma che all’inizio, come fenomeno, è stato difficile da capire. Nel fumetto cerchi di indirizzare la tua storia verso il bambino, verso il ragazzo, verso l’adulto: lo fai con il tipo di disegno, o attraverso ciò che racconti … il gioco in scatola, il gioco da tavolo, invece, possono avere diversi gradi di complessità ma non hanno quasi mai un target specifico. L’unica eccezione è rappresentata dal gioco per bambini, chiaramente strutturato a seconda delle capacità intellettive delle diverse età e ai fini eventualmente educativi; conclusa quella fase, però, dalla scuola media ai .. cent’anni d’età puoi giocare allo stesso gioco e giocarci assieme a persone d’età diversa dalla tua senza che ciò rappresenti il minimo ostacolo. È importantissimo.

Questo è il tuo primo anno in veste di direttrice della manifestazione.

Si. È una situazione e una scelta a cui siamo stati portati dalla riorganizzazione del gruppo che la gestisce, l’associazione Trieste Diventi Gioco.

robertosrelz_rd-6329Far parte di un gruppo e dirigerlo sono due cose molto diverse.

Per mia natura ho sempre tenuto un … piedino all’interno della direzione della manifestazione. Me ne rendo conto, me ne sono sempre resa conto: è parte di me. Sono molto coinvolta in questa manifestazione, la sento un po’ mia. In generale devo dirti che dirigerla, adesso, mi piace: mi faccio a volte molte domande, m’interrogo sui miei errori, perché so di essere portata a voler sapere un po’ sempre tutto, a cercare di entrare un poco su tutto … adesso mi trovo in una situazione diversa, nella quale scopro anche l’importanza di delegare, di contribuire al funzionamento di un gruppo. Sto imparando molte cose; e in queste ultime settimane, dopo momenti molto difficili, la macchina ha iniziato a funzionare bene.
Devo dirti che preferisco avere meno cose nelle quali sono coinvolta direttamente e più una visione generale della manifestazione, come sto avendo adesso, rispetto a un incarico diretto, più approfondito ma limitato magari a una parte sola della stessa, come ho avuto negli anni scorsi. Certo le difficoltà non sono tutte superate, abbiamo bisogno di più persone, di più risorse… però l’essere il punto di riferimento organizzativo, comprese le responsabilità che questo incarico naturalmente comporta, mi piace. Nel ruolo di coordinatrice mi riconosco meglio.

Il direttore artistico.

[sorride] Si, si. Il famoso ‘direttore artistico’. Quante volte ne abbiamo parlato. Anche perché, probabilmente – a parte quello degli YouTuber, che è un mondo nuovo che non conosco bene – penso di aver raggiunto, dopo questi anni di professione, una buona conoscenza di tutte le componenti di Fumetti per Gioco. Gioco, fumetti, Cosplay … sono mondi che ho vissuto in prima persona. Anche il videogioco; personalmente non gioco ai videogame, però li conosco bene. Il nostro è un mondo un po’ ‘geek’, un po’ ‘nerd’ … conosco anche quelli.

robertosrelz_rd-6138Hai accennato agli YouTuber, che sono un po’ la nuova proposta di Fumetti per Gioco. Quale collegamento vedi fra loro e le tematiche come gioco e Cosplay, che proponete invece già da anni?

Credo che quello che si esprime attraverso YouTube o di strumenti analoghi che ormai hanno larga diffusione attraverso Internet, sul Web, sia un desiderio di apparire. È quindi un mezzo, piuttosto che un fine: i ragazzi più giovani desiderano moltissimo emergere, farsi vedere, dire la loro su qualcosa: la differenza, nel modo di esprimersi e anche nel rifiuto forse di omologarsi, fra la mia generazione e quella di uno YouTuber di oggi è grandissima. Io credo che il messaggio dello YouTuber sia: ‘sono qui, sono io, ho qualcosa da dirvi’. E molte delle cose che dicono attraverso questi loro canali sono collegate anche al mondo del gioco, dei fumetti, e alla loro trasposizione nel modo di vivere di oggi… e quindi a Fumetti per Gioco.

Personalità espressa attraverso il numero di Like. “Black Mirror“.

Ecco, questo è forse il lato più difficile del discorso. Ed è indubbiamente vero, anche se bisogna fare attenzione a non esprimere giudizi. Devo dire che anch’io penso, da un lato, che l’espressione di una preferenza o un contatto attraverso un Like di Facebook o di YouTube sia una cosa molto triste, soprattutto pensando al mondo che sta dietro a questi meccanismi e a che cosa comporta… dall’altro lato, però, uno strumento di comunicazione così diretto come quello di un canale video su YouTube ti spinge a metterti in gioco: sei lì, sei tu, ti vedono e ti sentono.
Ma sei tu, quello che si mette in gioco, o è la tua immagine, che hai costruito e che proponi a un pubblico?
Dipende. Non è tanto diverso dal nostro amato gioco di ruolo: puoi interpretare un personaggio, o essere te stesso. È una tua scelta. Puoi mettere il tuo personaggio davanti a te, come una maschera, oppure proiettare te dentro al tuo personaggio: dipende solo dalla tua decisione, e le vie di mezzo di solito non funzionano bene.

Gioco di ruolo ‘Live’. Perenne.

Forse sì. Non penso però che sia da vedere così negativamente. Credo che tendenzialmente si tenda a proiettare l’immagine che vuoi che gli altri abbiano di te, però questo può essere anche molto positivo. Il gioco di ruolo nasceva per questo, e non necessariamente significava alienazione, ma anzi aveva connotazioni anche molto positive, che sono state studiate e applicate, come quella di permettere di parlare di sé stessi attraverso un personaggio e quindi superando, trovandosi in una zona di conforto, limitazioni caratteriali anche molto forti.

Quindi, YouTube è un veicolo d’informazione e d’espressione.

Ecco, forse il canale YouTube è veramente un nuovo veicolo comunicativo – non come il gioco di ruolo, chiaramente è molto diverso. Ma è un fenomeno nuovissimo, e come ti dicevo non lo conosco ancora bene. Se guardiamo ai nostri ospiti YouTuber a Fumetti per Gioco 2016, però, abbiamo la presenza di un disegnatore, di un doppiatore, di Cosplayer e creatori di giochi … il video su Internet è un canale nuovo, e libero. Nuovi artisti che usano Internet in luogo di mezzi di comunicazione più tradizionali. È anche una nuova professione: sono persone che viaggiano, che incontrano il pubblico e che presentano le loro creazioni in maniera alternativa.

robertosrelz_rd-6128Abbiamo detto che Fumetti per Gioco ha una formula ormai consolidatasi attraverso numerose edizioni. Niente variazioni? Se è sempre uguale, non rischia di stancare?

Non credo ci sia mai stata un’edizione uguale all’altra. Può sembrare a prima vista, magari dall’esterno, perché vedi il nome della stessa città, la stessa formula organizzativa, magari alcuni degli stessi espositori della mostra mercato e forse qualche Cosplayer che ha un viso che conosci; però abbiamo variato sempre i contenuti della manifestazione e continueremo a farlo: l’espositore, forse, ha lo stesso viso, però i prodotti che ti propone sono diversi, e il Cosplayer di anno in anno ha un personaggio nuovo e porta con sé altri Cosplayer. E i giochi a cui sei più affezionato ci sono sempre, però affiancati a giochi nuovi.

Tergestea, la vostra testimonial, è sempre Tergestea ma cambia sempre.

Esatto. Bisogna sempre andare avanti, aggiungere sempre cose nuove; se potessi ne aggiungerei già quest’anno tantissime, ma non abbiamo più spazio, abbiamo riempito tutto quello a disposizione all’interno del Palazzetto dello Sport. Abbiamo in mente per le edizioni future un padiglione a sé stante, da riempire ancora con altre cose. Abbiamo tantissime idee. Come dicevamo all’inizio, è solo una questione di risorse, di supporto da parte delle amministrazioni cittadine; e il nostro modello di riferimento rimane Lucca. Già da anni pensiamo a una manifestazione distribuita in più punti di Trieste così come a Lucca: a proposte nuove per i bambini, a mostre di disegno, a incontri fra ospiti e pubblico. Abbiamo tantissime attività che potremmo proporre a un pubblico di bambini.
Ma non possiamo fare tutto da soli e spessissimo il limite che ci ha impedito di trasformare i nostri sogni in realtà è stato proprio questo.È necessario che la città sia più coinvolta in questo. A Trieste, per qualche motivo, il gioco e i momenti di socializzazione come il nostro continuano a non essere considerati né cultura né sport e quindi al di là di quello di pochi rappresentanti non ricevono sostegno adeguato.

Tergestea - Paola Ramella - Edizione 2010Lucca Comics può sembrare forse troppo ambizioso, come termine di paragone?

Lucca Comics and Games non è stata sempre quello che è ora. Ha festeggiato il cinquantenario, ma la manifestazione si è ingrandita via via sempre di più a partire dagli anni Novanta, ed è negli ultimi dieci che ha raggiunto l’apice: la svolta è stata data dalla capacità imprenditoriale inseritasi su una base già consolidata, accompagnata dal pieno sostegno delle istituzioni, e da investitori che hanno creduto, e molto, in quella formula. E hanno avuto ragione. Certo, il contesto di Trieste è diverso … però vogliamo continuare a ispirarci ad essa: quattro o cinque giorni di manifestazione a Trieste con una formula fatta di punti d’incontro distribuiti – come quella di Lucca – con un padiglione in piazza dell’Unità o adiacente sfruttando il Magazzino delle Idee, uno in piazza della Borsa e uno in Ponterosso, uno sulle Rive magari al Salone degli Incanti che conosciamo molto bene, e in un periodo che preceda di poco l’estate, è un obiettivo che resta raggiungibile. E i molti visitatori che arrivano a Trieste, ormai avviata a diventare per davvero un polo turistico, troverebbero proposte nuove e accattivanti. E la mostra mercato acquisterebbe nuova dimensione. Le difficoltà strutturali della nostra città – i trasporti, i parcheggi, la necessità di trovare alloggio rimanendo su una fascia di prezzo adeguata – le conosciamo bene, però avremmo la capacità di gestirle: in tutti questi anni di manifestazione non c’è stato nessuno, fra gli espositori e i visitatori venuti da altre parti d’Italia e dall’estero, e te lo dico in assoluta onestà, che non sia rimasto incantato da Trieste.

robertosrelz_rd-6102_logo_vLa cosa più bella di Fumetti per Gioco?

Da un punto di vista personale, quando la manifestazione inizia mi sembra sempre di entrare in un mondo che è anche mio e nel quale trovo altri come me, che condividono le mie passioni, che si entusiasmano e anche se fino a cinque minuti prima è stato tutto difficile, dopo diventa bellissimo. E credo che questa atmosfera d’accoglienza, di familiarità la sentano anche i partecipanti, e contribuiscano anche loro. Sono stata in tantissime Convention, fiere, manifestazioni … la nostra è sempre speciale. E si sente. Superate le difficoltà e le tensioni che ci sono sempre, quando organizzi qualcosa, tutto diventa bello, e al termine dei due giorni ho sempre visto persone andar via stanche ma sorridenti.

Dal punto di vista associativo, invece … negli ultimi giorni ti stupisci nel vedere quante persone si facciano vive cercando di dare una mano proprio quando avresti detto che la cosa era impossibile, e si mettano a disposizione, proponendo, aiutando. Accade sempre all’ultimo – ma: sempre. Anche questa volta. E la comunità, condividendo questa voglia di fare e l’una o l’altra passione, la estende agli altri, a chi partecipa per la prima volta, ai visitatori … i nostri collaboratori prestano la loro opera per la maggior parte a titolo gratuito, in forma di volontariato, e questa spinta a farsi vivi e a offrire una mano negli ultimi giorni vuol dire che la voglia di costruire assieme e rendere partecipi gli altri non è per niente morta. È diventato forse più difficile comunicare, ma c’è ancora. È molto importante. E da questo punto di vista ho visto una forte contaminazione, ci sono state tante persone che hanno iniziato a giocare o a disegnare o a fare qualcosa in manifestazione per la prima volta e poi hanno portato avanti altre iniziative.

Il problema più grande di Fumetti per Gioco?

Probabilmente la stessa cosa, ovvero il fatto che per poter organizzare una manifestazione come la nostra nel modo in cui siamo abituati a farla noi c’è bisogno di tantissimi volontari. E quindi ti ritrovi spesso e volentieri in una situazione in cui non puoi programmare le cose con troppo anticipo, in cui comunque devi organizzare i calendari sulla base delle disponibilità e attitudini del singolo, in bilico fra equilibri, senza poter comunque gestire direttamente le attività e le risorse umane perché, appunto, la loro disponibilità è volontaria … l’unico obbligo dei nostri collaboratori nei confronti della manifestazione è morale. È una cosa bellissima, ma allo stesso tempo estremamente difficile da gestire. E quindi la cosa più bella della manifestazione – il volontariato, con tutto ciò che ne consegue e con l’atmosfera unica che riesce a creare – è l’altro lato di quella più complessa e certamente meno bella, che è la difficoltà di gestione.

Non menzioni il problema delle risorse economiche come un problema grande, però.

Forse perché non è il vero problema. Mi spiego: forse non sarebbe così difficile innescare un processo che porti a reperirle, le risorse necessarie – seguendo però un percorso diverso e riuscendo ad aggregare al nostro gruppo persone con capacità in quel campo, che noi, evidentemente, non abbiamo avuto e non abbiamo. Vedo il problema di gestione dell’organizzazione, di leadership e di necessità di risorse umane, come più difficile rispetto a quello delle risorse economiche, che comunque non va assolutamente trascurato. Anche perché avere più risorse economiche a disposizione permetterebbe di istituire un piccolo gruppo di coordinamento perlomeno a tempo parziale che agevolerebbe anche i compiti direttivi e organizzativi. E il ricambio generazionale nel gruppo organizzatore rimane un problema: il nostro pubblico è composto in larga parte da giovani, ma il gruppo di gestione si rinnova molto lentamente e con molte difficoltà.

Come mai, secondo te?

Non credo che ci siano meno ragazzi, oggi, rispetto al passato, disposti a mettersi in gioco, però nel nostro settore c’è stato certamente un salto generazionale molto ampio. Forse, per chi iniziava, come me, a lavorare a diciotto, vent’anni d’età – se non a quindici – affrontare l’impegno di organizzare poi qualcosa su scala più ampia, su un piano imprenditoriale, o anche nell’ambito di una passione, era più semplice: certe capacità relazionali e di gestione si erano già sviluppate, spesso a scapito di altre cose, ma c’erano. Ora, tanto si è spostato più avanti, e spesso la vita vera da individuo fuori dalla famiglia inizia a venticinque, ventott’anni – dopo l’università, quindi. E’ difficile vedere un ragazzo o una ragazza esprimersi come leader, o proporre una sua iniziativa, prima di quell’età: ce ne sono, ma mi sembrano più un’eccezione che qualcosa di diffuso. Credo che il problema non sia assolutamente di mancanza d’interesse né d’inattività, tantomeno d’incapacità: penso, piuttosto, ci sia stata una difficoltà di comunicazione fra generazioni, anche su un piano più ampio, e che la società in cui vivono sia talmente diversa da quella di solo venti, trent’anni fa da lasciare spiazzati.
A volte, la necessità di oggi di apparire come individuo, che venti o trent’anni fa non c’era – e se andiamo più indietro, l’essere fuori dagli schemi come individuo non inquadrato in qualcosa era addirittura un forte svantaggio – necessità che si vede in qualsiasi campo, diventa una difficoltà. I più svantaggiati, i meno brillanti ci sono sempre stati, e hanno sempre avuto più difficoltà degli altri: oggi, però, in una società in cui la cosa più importante è apparire piuttosto forse che essere, ne hanno ancora di più, e sono ancora più svantaggiati di prima. E’ un peccato, perché da un punto di vista cognitivo, e passando attraverso alcune esperienze molto prima, hanno – e me ne rendo conto pienamente – moltissime più capacità dei loro coetanei della mia generazione, che però vengono spesso soffocate da altro.
E il comunicare attraverso Internet e attraverso un computer o, adesso, uno Smartphone – che non va di per sé demonizzato: avere Internet è avere il mondo in mano – non rende per niente la loro vita relazionale più semplice, ma fa anzi il contrario. Vedo molti ragazzi rimanere a casa da soli, stretti in una specie di silenzio.

robertosrelz_rd-5567_logo_oQuanto vicine sono state le istituzioni cittadine alla manifestazione?

L’interesse c’è sempre stato; la prima edizione al Salone degli Incanti, nel 2010, è nata e si è concretizzata proprio grazie alla partecipazione e al supporto dei relativi assessorati. Così anche il Cosplay and Comics Summer Day, e altro. Il supporto economico è un tema diverso: la manifestazione e le nostre attività sono da sempre quasi esclusivamente autofinanziate, e questo crea grandi difficoltà, come già dicevamo prima.
Nel tempo, inoltre, è venuto anche a mancare il supporto delle associazioni, che in passato era molto più forte. E questo è successo perché … tranne pochissime, non ci sono più associazioni. A Trieste, purtroppo, le istituzioni non sono mai intervenute in modo deciso a sostegno delle associazioni di gioco organizzato: basta fare l’esempio della sede associativa, già discusso mille volte e sempre senza una soluzione. Un’associazione di ragazzi, se vuole esistere e avere una sede in cui fare attività, è costretta a sostenerne il costo commerciale, e non è di certo basso ma anzi negli anni è salito sempre di più: cinquecento, settecento Euro al mese. Per un gruppo di studenti è un costo insostenibile: le quindicimila Lire al mese a testa degli anni Novanta – un costo che molti ragazzi, per la loro associazione, potevano sostenere – sono diventate trenta Euro al mese: quattro volte tanto. Molte associazioni triestine sono state costrette a chiudere, o a ridursi ai minimi termini. Trieste, forse, è quel tipo di città che non è sufficientemente piccola da permettere alla politica di essere molto vicina al cittadino, e per contro non è neppure sufficientemente grande da avere un numero di realtà private di una certa importanza tale da poter subentrare alla distanza della politica con il mecenatismo. Non credo purtroppo che le realtà private che fanno mecenatismo a Trieste aumenteranno di numero rapidamente, e quindi un riavvicinamento della politica triestina al cittadino e anche alle associazioni di ragazzi è importante.
A Trieste ci sono numerose iniziative per i bambini – benissimo. E per gli anziani – necessarie, assolutamente, e quindi ottimo anche questo. Per i ragazzi della fascia adolescenziale e per l’età intermedia, al di fuori dello sport e delle piccole associazioni che si autosostengono non c’è oggettivamente molto. Se un ragazzo o una ragazza hanno, oggi, voglia e piacere di organizzarsi e giocare assieme a un videogioco in LAN, perché questo dovrebbe essere sbagliato? Dovrebbero essere agevolati anche attraverso la creazione di una struttura. “Risiko” c’è ancora, e rimane bello, ma forse ha fatto il suo tempo.

robertosrelz_rd-6259_logo_oE Manuela Sterpin come imprenditrice?

Abbiamo aperto Fantasylandia nel 1994, dopo averci pensato sopra un paio d’anni. In verità, la persona che avrebbe dovuto aprire il negozio era Nino Gaudenzi, mio marito: Nino aveva due sogni nella vita, aprire un negozio di giocattoli o fare il pompiere. Fui invece io, di comune accordo, a farlo perché avevo seguito un percorso di studi più commerciale e tecnico e quindi avevo già l’abilitazione presso la Camera di Commercio. L’appassionato di giochi di qualsiasi genere era ed è Nino; io ho sempre avuto una grandissima passione per la fantascienza: UFO, Spazio 1999 … la fantascienza è stata la prima cosa ad assorbire i miei sogni di bambina. Goldrake. Non mi piaceva molto leggere, ho iniziato più tardi: sognavo a occhi aperti di fare l’astronauta. Nino giocava già a qualsiasi cosa: a me piaceva, ma avevo più una componente sportiva, dovuta anche alla mia famiglia. La passione che ci ha portati poi anche alla scelta imprenditoriale, l’ho scoperta attraverso il gioco di ruolo, a metà degli anni Ottanta, poco prima: era un modo di giocare bellissimo, in cui davi sfogo alla tua fantasia e inventavi in assoluta libertà mondi, personaggi, storie. Non dovevi per forza vincere contro qualcosa o qualcuno. Non era competitivo. Nella mia vita sportiva ho sempre compreso e condiviso anche l’agonismo, però ho sempre pensato fossero più importanti la socializzazione, il condividere le cose, il cooperare e lo stare assieme, e il gioco di ruolo era perfetto. Poi finalmente ho iniziato a leggere e ho scoperto Dragonlance, Il Signore degli Anelli e tutte le altre saghe – e ho continuato: il Trono di Spade e tutte le altre.

Fantasylandia, quindi.

Avevamo in mente uno stile un po’ inglese, per il negozio, con una parte anteriore – quella che si presentava ai clienti – molto in stile Fantasy, con oggettistica anche da collezione e regalo: qui da noi non esisteva, volevamo vendere quello e poi fantascienza, gioco di ruolo, giochi in scatola. Non riuscivamo, però, a trovare i prodotti, e la capacità d’investimento iniziale era limitata, abbiamo fatto tutto più o meno da soli. La fortuna ci aiutò un poco e vivemmo in prima persona l’esplosione di due fenomeni, quello di ‘Magic: The Gathering’ e quello della Games Workshop con i giochi di miniature. Quello fu il punto di svolta, perché ci permise di coniugare la necessità di vendita e l’attività di negozio con l’organizzazione di eventi, tornei e momenti di socializzazione. Non ne sono sicura al cento per cento ma è possibile che il primo torneo ufficiale di ‘Magic’ in Italia sia stato fatto proprio nel nostro negozio, proprio nel settembre del 1994. E da quel momento in poi abbiamo continuato. La cosa che mi ha dato più soddisfazione è stata quella di essere riuscita a creare a Trieste, con Fantasylandia, una comunità, che esiste tuttora e si rinnova. I ragazzi che venivano a Fantasylandia a giocare subito dopo la sua apertura sono venuti poi a trovarci con i loro figli, e alcuni si sono appassionati e hanno iniziato a partecipare e a loro volta hanno adesso figli che si appassionano alle stesse storie e giochi e a quelli nuovi, e questo, dopo vent’anni, continua. È bellissimo.

Fantasylandia c’è ancora; altri negozi, altre realtà-ludoteca come la vostra hanno chiuso.

La crisi ha colpito anche noi così come gli altri. Noi siamo stati costretti a trasferire il negozio, a rimpicciolirci un poco. Però abbiamo continuato. Forse anche perché la nostra non è stata solo una scelta di business: il guadagno dell’attività non è stato mai tale da poter veramente coprire tutte le ore di lavoro dedicate a esso e alla comunità che ci sta attorno. Assolutamente no. E’ stata una scelta di vita. Questo tipo di lavoro non puoi affrontarlo come quello d’ufficio, in cui lavori, fai le tue ore, poi pensi ad altro … se resta in ambito familiare, e questa è stata la nostra scelta, ti assorbe quasi completamente. Stare in negozio è come stare a casa. Il lavoro di commerciante è veramente difficile; per una donna, penso ancora di più, in particolare se ha figli. Mia figlia è cresciuta dentro Fantasylandia. E anche in questo caso da un lato è bellissimo – in certi momenti, mi sono sentita un po’ la mamma di tutti, era come se avessi un sacco di figli, tutti i ragazzi e bambini attorno a me – però, nello stesso tempo, è difficile da gestire e non giusto. E con il passare del tempo lo diventa ancora di più; è anche per questo che alla fine ho deciso, dopo vent’anni, di lasciare spazio ad altri, di … uscire, almeno un poco, di scena. Adesso sono uno dei soci Fantasylandia, ma non più l’unica persona a decidere e a essere il punto di riferimento di tutto. Il negozio deve rimanere dinamico, deve rimanere giovane, e per un uomo è oggettivamente più facile. Chiedere a una donna, a una signora, può essere meno facile. C’è stato un momento in cui il punto di riferimento per i prodotti Games Workshop ero … io!

E non solo per Trieste.

Si, è vero. Avevo contatti in tutto il nord, in tutta la regione, in Veneto … a Lucca, quest’anno, ho incontrato di nuovo Nando Ferrari di Verona, con cui ho sempre avuto un rapporto speciale. Moltissimi negozi del Friuli Venezia Giulia e del Veneto sono nati dopo il nostro ed erano nostri clienti. E noi, a nostra volta, eravamo clienti di Ferrari. Vent’anni fa di attività di varie dimensioni ma analoghe alla nostra ce n’erano poche: i primi negozi o importatori e distributori specializzati erano “I Giochi dei Grandi” di Ferrari, “Stratelibri” di Ingellis, “Strategia e Tattica” … e in quel panorama c’era anche “Fantasylandia”. E a metà della nostra storia professionale, poco più di una decina d’anni fa, è entrato anche il fumetto.

Come mai il negozio, prima specializzato solo in giochi, si è aperto all’arte del fumetto?

Una specie di … salto: gioco, gioco da tavolo, gioco di ruolo, gioco di carte che a sua volta era già stato contaminato dal fumetto e quindi subito dopo fumetto. In quel momento stava nascendo il fenomeno Manga, che ben si accostava proprio ai giochi di carte collezionabili: il negozio specializzato ha accolto quindi anche il Manga e poi via via altre tradizioni di fumetto – quelle statunitensi, naturalmente, con i supereroi e i personaggi dei film, e poi anche quelle europee e italiane più classiche. Anche in questo caso questo era già accaduto nei negozi anglosassoni.

robertosrelz_rd-6512E poi il Cosplay.

Da una decina d’anni. Gioco, fumetto e poi Cosplay, anche in questo caso un’evoluzione comprensibile, naturale. Fantasylandia ha supportato il Cosplay triestino fin dalla sua nascita: dalla prima mini sfilata Cosplay dentro il negozio, e credo che sia giunta veramente alla decima edizione, fino ai concorsi di Fumetti per Gioco e del Cosplay and Comics Summer Day e alla partecipazione ad altri eventi. Per me, il Cosplay è un fenomeno bellissimo: unisce l’amore per un personaggio alla voglia d’impersonare, alla capacità di progettare e anche di realizzare, al teatro … secondo me è bellissimo perché in un concorso Cosplay vedi tre mondi assieme e non necessariamente in competizione: quello puramente amatoriale di chi indossa un qualsiasi costume e desidera partecipare all’evento, quello di chi ama uno o più personaggi e cura la preparazione in modo veramente molto particolare, e di chi alla fine porta questa passione al livello di professionismo e quindi partecipa come immagine, con sue creazioni originali. C’è una sola cosa, nel Cosplay, che alla volta noto e mi dispiace: alcuni non accettano la visione degli altri, non pensano che questi tre distinti modi di vedere una passione come quella possano coesistere. A volte ci si dimentica che, tranne per chi decide di farne veramente la propria professione trasformandolo in vera e propria attività artistica, il Cosplay è una passione, un hobby.

Il tuo sogno, Manuela?

Fare l’astronauta! Non credo che lo realizzerò mai, purtroppo.

Non è detto. Amazon sta lanciando i viaggi nello spazio per i privati.

Speriamo!

redazione centoParole © riproduzione riservata

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