“I giganti della montagna” al TriesteACT Festival

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TACTMartedì 7 giugno il TACT Festival, giunto alla seconda edizione, ha aperto il suo sipario, dando inizio ad una serie di appuntamenti teatrali e interessanti workshop, che si susseguiranno fino al 14 giugno 2015.

Un progetto nato lo scorso anno grazie all’impegno del CUT, Centro Universitario Teatrale di Trieste (associazione studentesca nata nel 1987), e al supporto della Regione FVG, del Comune e dell’Università di Trieste. Il TriesteACT Festival è il primo festival internazionale che vede coinvolti i giovani di questa città e non solo; infatti, tutti i gruppi teatrali sia amatoriali che professionisti d’Italia e del mondo sono invitati a partecipare a tale festival. Dopo una selezione, undici sono state le compagnie scelte che, durante questa seconda edizione, vedremo partecipi; inoltre daranno vita a sei giornate di workshop, conferenze e, ovviamente, spettacoli, che verranno rappresentati di sera; mentre, al mattino, in diversi luoghi della città, sarà possibile seguire i laboratori teatrali diretti da esperti del settore.
Le varie compagnie partecipanti a questo Festival si esibiranno presso il Teatro Stabile Sloveno di Trieste, ad eccezione dello spettacolo delle ore 21 di mercoledì che si terrà presso il Politeama Rossetti.
Il TACT Festival rende possibile la condivisione di idee e lo scambio di tecniche teatrali, tutto rivolto verso l’importanza dell’unione e della collaborazione con attori provenienti da altre parti del mondo.

A dare il via alla seconda edizione del TACT Festival è stato lo spettacolo “Neckar” del Theatre Punkosipak, per poi passere il testimone ai giovani del Centro Universitario Teatrale di Trieste, che hanno portato in scena il dramma incompiuto di Pirandello, “I giganti della montagna”, con la regia di Aldo Vivoda e Valentina Milan.

L’opera pirandelliana è iniziata con l’entrata in scena delle Maddalene, che sono emerse dal buio del palcoscenico con i lori vestiti rossi, creando un’atmosfera dai toni suggestivi. Già questa loro apparizione è un preambolo di quello che poi sarà lo spettacolo: un continuo altalenarsi tra realtà e finzione, tra realtà e sogno, elementi chiave del teatro pirandelliano.

È giunta poi in scena la compagnia degli attori girovaghi – guidata dalla contessa Ilse, “il-sé” della storia, l’anima del dramma – che è alla ricerca di un posto dove rappresentare il suo spettacolo dal titolo “La favola del figlio cambiato”. Gli attori si ritrovano davanti ad una villa, che sembra il luogo ideale per esibirsi, ma il mago Cotrone e gli Scalognati– abitanti di quel posto che hanno deciso di abbandonare la vita reale, per vivere nel sogno e nella fantasia – cercano di allontanarli con fulmini e tuoni creati da loro, ma senza riuscirvici. Si crea da subito, grazie al meraviglioso gioco di luci e ai costumi particolari, uno spazio metafisico, senza tempo, dal sapore felliniano, capace di infondere nello spettatore un sentimento di inquietudine, di confusione, pur portandolo a voler capire dove sia il confine tra sogno e realtà. Cotrone, dopo aver compreso che gli attori non avevano nessuna intenzione di andarsene, tenta di convincere la contessa a recitare il suo dramma, anche perché la Villa, secondo lui, è il luogo adatto; il luogo in cui tutto può accadere, se lo si desidera fortemente. E ciò che di solito avviene nei sogni, può manifestarsi anche nella realtà.

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Dai colori caldi del primo atto, si passa – nel secondo atto – a una gamma cromatica di blu che avvolge i volti espressivi degli attori, mettendoli così in risalto e conferendo allo spettacolo maggiore drammaticità.
Ilse vuole un pubblico vero, vuole che le persone che assistono allo spettacolo vengano realmente coinvolte nella storia, non vuole un’illusione. Cotrone allora le propone di recitare per i Giganti della montagna – potenze terrestri, nate dall’unione tra Terra e Cielo. Questi ultimi mossi soltanto dagli interessi materiali, non vogliono assistere allo spettacolo poetico di Ilse, ma propongono di farlo vedere ai loro servitori, al popolo, il quale però, privo di sensibilità, non comprende l’arte della contessa, che viene fischiata. La fine è tragica.

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I giganti della montagna”: uno spettacolo realizzato con molta maestria che unisce assieme l’arte di Peter Brook, per quanto riguarda i pochi elementi scenici presenti, e quella di Bob Wilson, per l’uso della luce e per la forte espressività dei volti, sottolineata da un trucco (di Dorina Forti) accentuato e di grande effetto; a completare il tutto sono state le musiche incisive di Paolo Rossi. Gli attori hanno interpretato il loro ruolo in modo impeccabile dando corpo all’opera pirandelliana e sottolineando la fragilità dell’essere umano alla continua ricerca di se stesso, tra una maschera e l’altra, tra la realtà e la finzione, tra l’essere e il non essere. Valentina Milan nella parte di Ilse è riuscita ben ad esprimere questo sottile filo, che separa l’equilibrio mentale dalla follia.
Uno spettacolo dallo stile contemporaneo che riporta in scena le debolezze, le paure, gli smarrimenti, dell’essere umano di ogni epoca.

Interessante notare la scelta di portare in scena a Trieste questo dramma, già diretto in passato dall’illustre regista e concittadino Giorgio Strehler.

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Gli interpreti 

La compagnia della contessa Ilse (Valentina Milan):
Conte: Marco Palazzoni
Diamante: Annalisa de Donatis
Cromo: Piermarco Fonda
Spizzi: Giuseppe Matellon
Lumachi: Alessandra Pizzi
Battaglia: Luca Svara

Gli scalognati:
Cotrone: Simone Kodermaz
Quaqueo: Annalisa dalla Mora
Milordino: Giacomo Cattarini
Mara-Mara: Ilaria Santostefano
Sgricia: Margherita Cipriano
Duccio Doccia: Juliana Lorenzoni

Maddalene: Isabella Cogato, Elisabetta Amato, Giada Ventura, Federica Mammoli

Nadia Pastorcich © centoParole Magazine – riproduzione riservata. 

Foto: Nadia Pastorcich

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