Nik Pichler: riflessi di vita e sentimenti

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Klaus Pichler - photographer - Vienna[read the interview in English] Incontriamo Nik Pichler, fotografo: non come riflesso di un momento meraviglioso su di un vetro, come nelle sue fotografie, ma questa volta di persona, al Caffè San Marco – a Trieste. Nik, nato nell’ottobre del 1970, vive nella splendida Vienna, e lavora a Vienna, in Europa e a New York. Ci incontriamo e incontriamo e conosciamo i concetti e le sensazioni della sua ‘Reflection Photography’ e della recente mostra “Steve e Io – la Pop Art incontra la Reflection Art Photography” , ispirata al lavoro, all’arte e alla vita di Steve Kaufman. Incontriamo un grande fotografo, una persona sensibile e meravigliosa che parla con semplicità e grande passione del suo lavoro e delle sue esperienze, mostrandoci ancora una volta l’importanza delle emozioni.

Iniziamo con la domanda difficile. Nik, chi sei?

Ok! Chi sono? Penso di essere una persona che osserva un sacco di cose. Una persona che ha la capacità di osservare. Sono una persona che ha fiducia nella sensazioni che vengono dalla pancia, e che scatta una fotografia solo quando la sensazione è quella giusta. Sono molto curioso. aperto.

Che significa ‘aperto’, per te?

‘Aperto’ significa … che sono veramente interessato agli altri, alla gente, e che preferisco sempre cercare di capirli e di capire il loro mondo. E magari anche non solo di capire, ma anche di sentire. Con la macchina fotografica, e senza. E’ parte di ciò che sono. Riesco a mettermi al di fuori di tutto, a estraniarmi, e cerco veramente di capire. Di guardare tutto l’insieme.

Henri Cartier-Bresson era solito dire che devi diventare parte di ciò che vedi attraverso il mirino, e guardare con occhi bene aperti. Essere parte della foto, sentirti coinvolto.

Ad esempio, quando faccio un ritratto in studio, chiedo alle persone che devo fotografare di venire un po’ prima. Parlo con loro per mezz’ora prima degli scatti. Ci sediamo assieme attorno al tavolo di vetro, parliamo, e solo dopo vado a prendere la macchina fotografica. E poi, in dieci minuti, ho finito.

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Non pensare e non preparare – fai.

Assolutamente. Per me, ‘fotografia’ non significa ‘tecnica’. La tecnica fotografica odierna è già perfetta. Devi conoscerla, almeno per essere in grado di accendere la tua macchina fotografica, ma, in essa, non c’è nient’altro.

Sei veloce.

Sono molto veloce. I miei assistenti preparano le luci e il resto delle cose. Io non partecipo alla preparazione dello studio, preferisco dedicare tutto il tempo che ho allo studio della personalità di chi devo fotografare.

Come prima cosa, quando devo fare un ritratto, prepariamo le luci. So già da prima, dopo aver visto la persona, che tipo di luce userò come primo passaggio. Poi, loro passano al trucco, e mentre vengono truccati parliamo dell’intero servizio, per altri venti minuti, mezz’ora, e di tutto quello che faremo: e poi andiamo sul set, altri dieci minuti ed è finito. Quando capiscono che tutto sarà finito in dieci minuti sono contenti, gli fa piacere sapere che avranno già il risultato finale in poco tempo. Non tutti … per qualcuno, devo metterci per forza un po’ di più …

Se no, non si fidano. Troppo veloce per essere un professionista.

Esatto. E allora faccio qualche foto in più e ci metto un po’ più di tempo, ancora una mezz’ora, magari … faccio qualcosa assieme a loro. Ma so già che la foto che utilizzerò è quella che ho scattato nei primi minuti.

Ho notato anche che le persone, se non vedono di fronte a loro qualcuno con una macchina fotografica professionale, ti guardano in modo strano. Così, per quel tipo di lavoro, uso fotocamere … molto professionali. Ma è l’unico motivo per cui lo faccio: devo creare una ‘bolla professionale’ attorno a loro per farli sentire a loro agio, una bolla di cui io non ho veramente bisogno – e quando sono dentro a questa bolla, la trovano confortevole e si rilassano.

L’intero progetto Steve Kaufman, che presentiamo nella mia mostra di Vienna, è stato realizzato nello stesso modo: presentiamo dieci opere, e otto di quelle dieci sono state realizzate in quaranta minuti. In questi quaranta minuti, comunque, ero molto concentrato, e mi sono sentito stanco come se avessi lavorato per tre giorni di fila.

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Com’è iniziata la tua Reflection Photography? E dove?

La prima volta in cui ho realizzato un ‘Riflesso‘ è stata frutto di una coincidenza, a Parigi. Ero annoiato, ero a Parigi da diciotto ore e stavo guardando la vetrina di un negozio. Annoiato. Poi, ho cambiato il mio modo di guardare quella vetrina, ho cambiato la prospettiva, ed è iniziato tutto.

È stato nel 2012. Un paio di settimane prima ero stato in Mongolia, invitato dal loro governo per un servizio fotografico nella regione occidentale legato alla cultura degli sciamani, un lavoro documentaristico. Volevano che io facessi una mostra con quelle foto, legata alla collaborazione fra Austria e Mongolia. Nello stesso tempo stavo aprendo la mia galleria. Avevo pensato che fosse veramente una grande opportunità. Poi … era stato rimandato, a causa di problemi governativi, e mi ero ritrovato ad avere due settimane in più, e questo era stato il motivo per cui ero andato a Parigi. Così, mentre ero in attesa, annoiato, senza entusiasmo – ho cambiato il mio modo di guardare le cose, ho cambiato la mia prospettiva, e l’intera esperienza ‘Reflection’ è iniziata.

Tornai da Parigi con alcune fotografie che volevo mostrare. Alcuni critici d’arte austriaci mi sconsigliarono dal farlo, mi dissero: ‘Non fare questo tipo di fotografia proprio adesso. E’ troppo complessa, puoi fare di meglio’. Ma dissi a me stesso: ‘devo ascoltare la mia pancia, le mie sensazioni’. Quelle foto mi trasmettevano sensazioni buone. ‘Voglio farlo e lo farò’. E lo feci.

Pensavano che i ‘Riflessi’ fossero troppo innovativi?

No, in realtà dissero che quelle fotografie, a loro opinione, contenevano troppe cose, e mandavano messaggi multipli. Ma non m’interessava quanti messaggi mandassero. Anche adesso, a dire il vero, non mi preoccupo per niente di qualsivoglia messaggio politico possa essere contenuto nelle mie foto. Nei ‘Riflessi’ io metto assieme ciò che sta al di là del vetro con ciò che ci sta davanti; non riesci a capire che cosa sia davanti e che cosa sia dietro. Questa è la mia emozione. Ciò che vedo, dove sto … ho bisogno di essere dentro quell’emozione.

La cosa principale è che nel momento in cui i ‘Riflessi’ iniziarono, erano molto differenti dalle foto che ero solito fare prima. Ma lo sentivo come giusto, e lo feci – e, devi sapere, per me questo tipo di fotografia è un grosso investimento – allora, e adesso – perché stampo le mie foto su vetro. Ma nella prima serata vendetti quindici foto, e fu fantastico. La prima foto la vendetti a una persona vicina a Swarovsky: fu molto felice di aver preso quella foto perché per lui era qualcosa di nuovo. Swarovsky mi scrisse dicendomi che mi volevano come fotografo per la loro società; non mi sentivo sicuro, perché, come si può immaginare, ciò che dici durante gli incontri a una mostra è una cosa diversa da un accordo formale. Ma un paio di settimane dopo un incaricato di Swarovsky venne in volo dalla Svizzera per incontrarmi. E iniziò la collaborazione.

Ricordo le scadenze che mi avevano dato, quella volta. Finire tutto a febbraio. Il tempo passava, e non avevo avuto luce, per tutto l’inverno. Per farla breve decisi di seguire il mio istinto ancora una volta, sapevo che il momento sarebbe venuto. E venne, cinque giorni prima della scadenza. Scesi a Vienna e scattati tutto in due ore. Mandai a loro trenta fotografie. E fu fatto. La solita, vecchia sensazione speciale. Consiste anche nella luce che vedo e in tutto, ma più di ogni altra cosa, è dentro di me – è quella sensazione che ti dice: ‘questo è il momento giusto’.

Com’è la luce di Vienna?

Straordinaria. L’architettura, e la luce fredda – rendono tutto speciale. Ma se non sono dell’umore giusto non funziona niente.

Nik Pichler - Steve Kaufman - In Your DreamsE Steve Kaufman?

Avevo già, anche stavolta, un’idea di cosa avrei fatto già mentre stavo volando verso Los Angeles. Conoscevo il background e la storia dell’artista. Non avevo, però, un vero e proprio progetto: prima volevo sentire le cose, vederle. Poi, quando andai nello studio di Steve Kaufman … tutto divenne emozione. Sentivo che avevo bisogno di riportare Steve sulle strade di Los Angeles – sulle sue strade. Aveva camminato là. Vissuto là.

Ho messo le sue foto sulle strade di Los Angeles. Ho chiesto di togliere le sue opere dalle cornici, di metterle in un altro contesto, sull’asfalto di Los Angeles … l’asfalto ha una struttura stupenda, a Los Angeles, è molto duro, ruvido. Grezzo. Ho voluto scattare le mie foto durante un giorno di traffico, e ho utilizzato quei pochi secondi di tempo fra il semaforo rosso e lo scattare del verde. La luce del semaforo era rossa – qualcuno è corso, e ha messo la foto là. Sono corso anch’io, perché volevo stare per terra … ed era solo un minuto, meno di un minuto, perché poi le automobili sarebbero ripartite. E quello che abbiamo fatto è stato … straordinario. Melrose Avenue, piena di automobili, centinaia di automobili. Steve Kaufman di nuovo sulle sue strade. C’era stato un incidente, poco prima, proprio lì, c’erano ancora tutti i vetri rotti – ma ero così concentrato che non me ne sono accorto subito.

La gente, tutti mi guardavano come se fossi un poco … fuori di testa. Avevano fiducia in me, ma pensavano: “Che cosa sta facendo? Da lui, in realtà, vorremmo un Riflesso”. E … ha funzionato. E’ stato divertente ed emozionante, uno dei più bei giorni trascorsi assieme. Eravamo in quattro e c’era bisogno di ciascuno di noi.

Avevo bisogno di portare Steve Kaufman giù, prima di farlo salire ancora.

Nik Pichler - Schoenbrunn ViennaPerché la fotografia? Come hai iniziato?

‘Come ho iniziato’ … è facile. Ho iniziato con una macchina fotografica molto piccola e semplice; all’inizio non avevo esperienza e non avevo fatto formazione, avevo solo quella piccola fotocamera Minolta – una ‘pocket’ – e scattavo un sacco di fotografie. Poi, i miei amici iniziarono a chiedermi di far foto per loro, perché erano molto belle, ed era divertente. E poi ancora … e così via.

Ho iniziato a fare veramente fotografia, in modo serio, dopo aver ricevuto una macchina fotografica più grande e bella in regalo, per il mio trentesimo compleanno. Semplicemente … ho iniziato a scattare. Avevo così tante foto nella mia testa e volevo tirarle fuori. Questo mio modo di essere – questo voler tirar fuori le cose – è anche il motivo di base per cui faccio fotografia. Vedo un sacco di cose, vedo i momenti – la luce, le linee, e le combinazioni. Avevo bisogno di un mezzo per farle uscire dalla mia testa. E quel mezzo è stato la macchina fotografica.

Nik Pichler - Schoenbrunn ViennaPrima del mio compleanno e della macchina fotografica nuova, le mie foto erano su pellicola. Analogiche. Poi, ho fatto corsi e formazione, perché volevo imparare altre cose, più cose. Ho imparato a sviluppare la pellicola, e tutto ciò che della tecnica mi serviva … ma, poi, non ho mai iniziato. Non mi piaceva così tanto, era molto … tecnico, appunto, e richiedeva molto tempo. Volevo sapere come si fa, ma preferisco l’emozione del momento.

Le tecniche di miglioramento dell’immagine, e la post produzione, ti piacciono?

Photoshop non mi piace … o meglio – se dico così potresti capirmi male – Photoshop mi piace, ma una foto originale è … una foto originale, e ogni volta che tu tocchi, con il computer, qualcosa di quella foto, perdi qualcosa d’altro. Nei ‘Riflessi’ abbiamo bisogno di lavorare sul contrasto, abbiamo bisogno di migliorare un po’ le luci, ma non tocchiamo o elaboriamo nessun altro livello della foto scattata. Non tocchiamo mai niente. Tranne che sui ritratti, e solo quando la signora che ti ha commissionato il lavoro ti dice: ‘devi farlo’. Ma anche in quel caso consiglio sempre di non applicare tanto ritocco.

La gente pensa che più raffinata sia la tecnica, migliore sia il risultato che si vede nella foto, ma non è così. Non mi piace la post produzione in Photoshop e non amo la perfezione tecnica, per niente. La fotografia non ha niente a che vedere con esse. Non ti serve la macchina fotografica perfetta, non devi per forza avere l’equipaggiamento migliore – intendo dire, queste cose sono veramente carine … ma … non dovresti preoccupartene più di tanto. Una volta ho chiesto a Swarovsky come mai avessero preso me, e mi hanno detto di esser stati veramente impressionati dal fatto che mi concentrassi sull’emozione e che non usassi Photoshop sulle mie fotografie.

Presumo non ti piaccia il World Press Photo Awards.

Non è cosa mia. Mi piace, mi piace guardarlo, ma noto anche che tutti stanno diventando ossessionati dallo sviluppo di tecniche ed effetti stupefacenti. Troppo ossessionati.

Preferisci il lavoro in studio o quello fatto sulla strada?

Entrambi. Ma il modo in cui io lavoro in studio è un po’ pazzo. Ascolto sempre musica a un livello molto alto – mi piace. Ed è sempre molto divertente. Nei i ritratti d’affari, qualche volta mi diverto molto quando vedo il manager star lì impalato e guardarti in modo strano, mentre mi ascolta dire quanto mi piaccia costruire una cosa in movimento, dinamica. Ma mi conoscono ormai, e sanno che i risultati saranno molto buoni.

E come ti dicevo mi piacciono entrambe le cose, lo studio e la strada. Quando lavoro in studio, non mi piace più di tanto lavorare sulle luci e sulla preparazione: se dovessi farlo, penso che perderei contatto con il cliente. Ho i miei assistenti ed è meraviglioso lavorare con loro, sanno che cosa fare.

Nel ritratto fotografico, le emozioni e i sentimenti personali sono la cosa più importante per me. E, talvolta, mi mostrano troppo. Ho scattato delle fotografie che non avrò mai il permesso di mostrare o pubblicare, perché sono troppo personali; mi hanno detto che preferiscono non utilizzarle, e va bene così.

Nik Pichler - Strike My ShadowIl grosso vantaggio che abbiamo in fotografia rispetto all’arte figurativa è l’istante. Ed è quello che amo di più. Quando disegni o dipingi non vivi quel momento speciale; puoi pensare. Puoi elaborare. Il fotografo ha bisogno di avere quel ‘click’ proprio in quel momento speciale, e solo quello. Se inizi a pensare alla tecnica, quel momento speciale se n’è già andato, è finito. Non farò mai fotografie che mi richiedano troppa preparazione.

Di recente ho fotografato un modello brasiliano. Improvvisamente le luci si sono spente. Ho continuato a scattare. Mi sono concentrato sull’ombra. E questo è l’attimo speciale – quello è stato il momento molto personale, la persona e la sua stessa ombra, e l’interazione.

E quindi, ancora una volta, il vantaggio della fotografia nell’arte è il momento. Se ti avvicini troppo a quella che è l’ossessione per la tecnica, diventi una specie di pittore: pensi troppo, lavori troppo in Photoshop … alla fine non sei un fotografo. E, se sei un fotografo, non hai neppure bisogno di scattare cento foto della stessa scena in pochi secondi e poi scegliere.

Ti ricordi qualche momento terribile?

Non sono proprio sicuro che sia stato … terribile, ma mi viene in mente. Ero stato invitato a un evento particolare, e … devo dirti che alcuni dei partecipanti non mi piacevano proprio. Non mi piacevano per niente. Ed era per una buona ragione. Sono riuscito a far foto all’evento, senza che ci fosse nessuna di queste persone dentro, e poi quando mi hanno chiesto delle foto ho detto: ‘Mi spiace, non ho idea di che cosa sia successo! Non ho foto vostre’. Sai, non avrei mai permesso che queste persone entrassero nella mia macchina fotografica. Mai. E, ti ripeto, era per una ragione molto buona.

Il peggior momento in assoluto che ho passato, penso … sia un momento che è diventato poi buono. Avevo appena completato un servizio molto difficile per una persona speciale. E non avevo salvato subito le foto sul mio computer, come faccio sempre; stavolta ero di fretta, e tutto era stato difficile quel giorno, e avevo lasciato le foto sulla Flashcard, dicendo alla mia assistente: “Basta che tu mi dia la card, salveremo le foto domani”. L’indomani, inseriamo la card nella fotocamera, ed esce un messaggio d’errore: “Card difettosa”. E … mi sono sentito in un modo terribile. Ma, sull’altra fotocamera, funziona, le foto sono salve. Il problema era sulla fotocamera. Salvata sempre le vostre foto, subito! Sempre!

Nik Pichler - Steve Kaufman - An Angel WavingE sulla Pop Art, cosa puoi dirci? Di recente hai lavorato con il lascito di Steve Kaufman, e la mostra di foto ispirate alla sua opera è la tua più recente.

Amo la Pop Art. Trasforma le cose difficili in cose molto semplici, le riduce a cose molto semplici. Quando guardo gli occhi di Marilyn Monroe, ad esempio, mi rendo conto che potresti dipingerli in modo molto complesso, o molto semplice, come vuoi tu. Steve Kaufman dipingeva per noi in un modo molto semplice. E guardare le sue opere ti rende felice.

Nik Pichler - The Books of Mao - Steve KaufmanPer me la Pop Art si può guardare anche dal lato esattamente opposto: è una meravigliosa maniera per rendere le cose semplici complicate. Mi mette a disposizione le basi per creare qualcosa di nuovo. Questa è la foto di Mao, ispirata dall’arte di Steve Kaufman. La chiamo: “I libri di Mao”, perché nella mia foto riflessa i libri sono proprio nella mente di Mao. E all’epoca di Mao i libri erano strettamente proibiti.

Poi, ne ho fatta un’altra, e l’ho chiamata “Trapped lady Liberty” – “Lady Libertà intrappolata”, perché ritrae “Liberty” di Steve Kaufman, già divisa da lui in rosso e blu, in un’altra suddivisione mia immaginata attraverso una finestra nella quale ho racchiuso il resto dello spazio, come in una gabbia. “Lady Liberty” – il “Sogno Americano” – in realtà, una trappola.

La foto con l’opera di Kaufman che rappresenta Fidel Castro è la mia esternazione sul Comunismo. E adesso ho un messaggio politico, una dichiarazione, e non ero solito farne in passato. Sto sviluppando il mio messaggio. Penso di aver avuto bisogno delle basi, non politiche, per creare qualcosa di politico.

Nello studio di Steve Kaufman, nelle parole scambiate con Diana Vachier, c’è qualcosa di molto commovente. Una vera energia buona che circondava Steve Kaufman, la sua persona.

Cos’hai provato mentre eri nello studio di Steve Kaufman?

Era come “Alice nel paese delle Meraviglie”. Entri nello studio, nella sua ‘factory’, e hai l’impressione che se ne sia andato da cinque minuti, pensi di aver mancato l’incontro con lui solo per poco. Tutto è ancora lì. E c’è quella sensazione che rende tutto così speciale. Non sei in un museo. E’ energia. Libertà. Caos meraviglioso. E nessuna tensione, nessuna fonte di stress. Penso anche che Steve fosse una persona divertente.

Austria nel cuore dell’Europa, e gli Stati Uniti. Due mondi differenti. Come descriveresti questa dualità?

Sono assolutamente differenti. Come posso spiegarti questa differenza, e il collegamento? Bene, come prima cosa dobbiamo essere consapevoli dell’estensione degli Stati Uniti, sono talmente grandi che le due coste, Los Angeles e New York, sono totalmente differenti fra loro. New York è la mia seconda casa, la amo. Per me, Vienna, o l’Europa … sono la terraferma. Le radici. E talvolta queste radici sono troppo pesanti, sai? Le cose, in Europa, non si muovono velocemente.

Quando arrivi a New York, invece, tutto è pura energia. Puoi ottenere tutto: devi solo avere determinazione. Un amico mi ha detto: “New York perdona tutto tranne la mancanza di forza”. Ed è vero, e l’ho imparato. Ricordo un colloquio in uno show televisivo: era andato molto bene, i produttori mi stavano chiedendo se mi sarebbe piaciuto avere un mio show lì. Wow. Due giorni dopo ero seduto in un appartamento vicino a Central Park con una signora e un uomo – gente giusta, gente molto importante – e stavo presentando loro un’idea di come questo show avrebbe potuto essere. Pensavo e ripensavo alle parole da usare, a come fare una buona impressione, a come parlare della mia idea e di come avrei voluto fare, e … mi sentivo insicuro. Ma poi mi sono scoperto a dire fra me e me: ‘Oh al diavolo, fra due giorni sei di nuovo a Vienna, cosa potrebbe succederti? Digli della tua idea e basta, e vada come vada”. Loro ascoltavano, molto attentamente, senza fare domande – questo non lo dimenticherò mai – e alla fine fui io a chiedere: “E? Vi piace?” Dissero solamente: “Ci piace e lo facciamo”. Risposi: “…Ok.” E basta.

In altri paesi, devi prima di tutto descrivere il concetto e il contenuto di ciò che vuoi fare, poi spiegare dove sei stato prima e cos’hai fatto, cosa vuoi fare nel tuo futuro, chi ti supporta e sostiene … là, a New York, è uno schiocco di dita, e se l’idea è buona si fa. Altri due giorni, e già mi stavano mandando le richieste di partecipazione degli artisti – è uno show sull’arte – e mi dicevano: “Questa è una prima lista di ospiti, controllala, e facci sapere quali preferisci.” – “… non volete partecipare anche voi alla scelta?” (questa è l’Europa: alla gente importante piace intervenire, influenzare un po’ questo, un po’ quello … dire qualcosa su tutto …) – “No, questo è il tuo show. Tu lo presenti, tu sai come fare”. Questa è New York.

Di quale dei due mondi avresti più bisogno?

Ho bisogno di entrambi. Stare a New York vuol dire vivere continuamente al 120%. Veramente.

Qui in Europa, a Vienna, mi rilasso. Le amicizie sono diverse. Le tue relazioni personali sono diverse. Ma … a New York le cose si avverano, succedono. Penso che vivere un sogno qui sia molto più difficile che fare qualcosa là.

Che suggerimento daresti ai giovani fotografi, a chi sta iniziando la sua carriera o scoprendo la sua passione proprio adesso?

Talvolta mi propongono – e non lo faccio mai – di incontrare i fotografi, di organizzare dei momenti d’incontro con loro e insegnare. Non lo faccio – perché penso che rimarrebbero delusi. Da me. Come prima cosa gli direi: metti via la macchina fotografica, metti via tutta la tua attrezzatura, non ne hai bisogno – non essere insicuro, non pensare sempre a cosa devi fare, non pensare alla composizione, alle regole, alle tecniche … questa cosa che facciamo, la fotografia, è quello che sei tu. Sta tutto nell’attimo, nel trovare il momento giusto.

Vivilo.

Roberto Srelz © centoParole Magazine 

(immagini copyright © Nik Pichler – video © American Pop Art, inc.) (traduzione dall’inglese: Roberto Srelz)

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