La Rete è una perdita di tempo: Facebook World

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“Ho coniato la parola ‘ cyberspazio’ nel 1981, in uno dei miei primi racconti di fantascienza (…) Qualche volta la Rete mi ricorda la pesca. Non mi fa mai venire in mente una conversazione, sebbene possa sembrare molto simile allo starsene a contemplare il vuoto. Navigare in Rete (…) è, per dirla con le parole di un mio amico, «come leggere riviste con le pagine incollate». [*]

Facebook  - CyberspazioMi sono iscritto a Facebook, se non sbaglio, una decina di anni fa – forse qualcosa di più. Nel 2005?

O poco prima. Si può dire senz’altro che io sia stato, nel nostro paese, fra i suoi primi utenti. Non ricordo che numero d’utente ero (all’inizio era più facile tenerne conto: credo di esser stato – il ‘qualche centinaio di migliaia-esimo globale’). Non ho mai cancellato il mio profilo. Mi piaceva sperimentare: amavo tutte le cose nuove (le amo, in qualche misura, tuttora), e Internet per me aveva ancora molto fascino. In fin dei conti, la mia prima esperienza professionale con Internet risaleva al 1995: il mio primo Internet Browser era stato Netscape 0.9 (‘Mosaic’).

Ricordo il primo Facebook abbastanza bene. Potevi sfogliare i profili degli iscritti. Potevi richiedere amicizie. Potevi mandare un ‘Poke’ alla gente. Condividere qualche foto. Ma nient’altro di particolare. Gli inviti agli eventi non c’erano ancora: in origine, in fondo, Facebook (“thefacebook.com”, dell’Università di Harvard), come scrivono i vecchissimi utenti del Social, “Serviva agli studenti più che altro per capire chi avrebbero voluto alle loro feste e per organizzarle. Qualcuno andava, magari perché invitato da qualcun altro che non lo conosceva e perché a questo qualcun altro era piaciuta la sua foto sul profilo. E magari poi si sposavano.”

Oggi. Che anniversario ha festeggiato Facebook, recentemente? Non lo ricordo. Dieci anni di vita. Onestamente, non ero fra quelli che pensavano che sarebbe, come strumento di comunicazione, scomparso rapidamente (al contrario), ma non credevo proprio che sarebbe finito per diventare quello che è adesso.

A parte le fotografie sulla pagina e la foto del profilo, e l’aspetto bianco-e-blu, di ‘thefacebook.com’ ben poco è sopravvissuto, e stava già scomparendo da subito. Nessuno all’inizio sapeva bene che cosa si potesse scrivere o fare su questo ‘muro’ – il ‘Wall’ (e la memoria vola a quella scritta nero su bianco … ) che Facebook metteva a disposizione. Facebook non ha ancora completamente abbandonato il concetto del ‘muro’ (che ricordava la bacheca di un Bulletin Board System – niente di così originale), ma è stato rimpiazzato dal gestore di notizie, che ci sommerge quotidianamente di un po’ di tutto. Non sono più un ‘orgoglioso membro’ di molti gruppi Facebook ai quali molti (in molti casi senza che io avessi voluto e senza che mi fosse stato chiesto) mi avevano iscritto – devo confessarlo. E anche se il ‘Poke’ , come tastino, esiste ancora, in pratica è stato sepolto da altri ‘tools’ – attrezzi ‘molto’ più utili.

A dispetto di tutti i cambiamenti, comunque, qualcosa di originale, in Facebook, è rimasto: la ragione di fondo per cui le persone comuni ci si iscrivono.

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“Creature post-industriali di un’economia dell’informazione, avvertiamo sempre più che non facciamo altro che avere accesso ai media. Siamo divenuti esseri a disagio terminale. Il puro e semplice divertimento non esiste. Ci osserviamo mentre osserviamo. Ci guardiamo mentre guardiamo altri che guardano (…) Ma questa è la nostra risposta all’invecchiamento di media come cinema e televisione, relitti dell’età del legno. La Rete è nuova, e la nostra risposta a essa non si è ancora sclerotizzata. Questo costituisce gran parte del suo fascino. È qualcosa di non ancora completamente formato, in crescita. Larvale. Non è più quel che era sei mesi fa; tra altri sei mesi, sarà di nuovo qualcos’altro. Non è stato pianificato; è semplicemente avvenuto, sta avvenendo.” [*]

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Fra il 2012 e il 2013, alcuni psicologi (rifacendosi alle teorie di altri, fra i quali il controverso psicologo e scrittore americano Robert Anton Wilson – che era stato anche editore associato di “Playboy”) rivisitarono alcune ricerche fatte sui fenomeni della Rete e Facebook cercando di capire l’utilità dei ‘Social Network’ per la spiegazione dei meccanismi mentali che spingono le persone ad avvicinarsi agli stessi, e per comprenderne il suo successo e la sua espansione.

Non fu un percorso facile, e la teoria del ‘complotto’ e della ‘società segreta’ non fu così palese e dimostrabile come si pensava: i detrattori del ‘Network’ non ricevettero, subito pronta per l’uso, la soluzione che si aspettavano. La questione era complessa; molto più del previsto.

La Stampa - tecnologiaMentre i motivi che portavano a iscriversi e a utilizzare Facebook non erano interamente omogenei e trasformabili in un modello comportamentale, un fattore, però, emerse come motivazione molto forte e incontrovertibile: il desiderio degli utenti di ‘tenersi in contatto’. Di ‘avere riscontro’.
Certo, alcuni s’iscrivevano a causa della ‘pressione sociale’ (il: “Ma come! Non hai ancora un profilo Facebook?”), o come espediente (per la pubblicità, per il Marketing, o ancora in cerca di un approccio sessuale altrimenti difficile …), ma la stragrande maggioranza degli utilizzatori di Facebook cercava qualcosa di molto più semplice e fondamentale: la relazione con gli altri . Facebook (i messaggi, i commenti, il chat …) era apparso come il metodo migliore a disposizione, il più accessibile, e il più efficiente strumento per creare e mantenere legami con altre persone.

C’era un altro fattore collegato alla creazione di un profilo Facebook: il desiderio di condividere (o, meglio: di mandare in ‘broadcast’  – di, televisivamente, ‘trasmettere’, ‘mandare in onda’) l’esistenza e la natura di questi legami con gli altri.

Sam Gosling, dell’Università del Texas, scriveva: “Le scimmie curano ciascuna il corpo e il pelo dell’altra come modo di mantenere le relazioni sociali, e lo fanno vedere pubblicamente. Questo è quello che Facebook permette: è un moto per ‘accudire pubblicamente’ i tuoi amici. Quelle conversazioni che leggi su Facebook potrebbero con facilità venir fatte di persona, in privato. Ma Facebook ti permette di condividerle e di ‘mandarle in onda’ in tutto il mondo, e così questa necessità sociale di base, che tutti hanno, è amplificata e soddisfatta”. In pratica, su Facebook, non parliamo per noi o per l’altro – ma parliamo di noi e dell’altro per fare in modo che qualcun altro sappia. Ed è quello che c’interessa di più. Ovvero: “Le allegre comari di Windsor”.

Facebook - false identitàIn altre parole, su Facebook, a interessarci non è il mero contatto con l’altro. Dire qualcosa a qualcuno in privato è moderatamente facile, ma è molto più difficile parlare in pubblico – e il supporto pubblico ottenuto è un segno estremamente più forte di una parola detta in privato (non sta, forse, questo, alla base della politica? – e non sorprende che i più grandi utilizzatori di Facebook e Twitter siano diventati, rapidissimamente, i politici e i capi religiosi). Se Facebook fosse rimasto così com’era in origine, sarebbe rimasto solo uno degli altri Social Network, magari conosciuto ma poco frequentato: ma è andato molto oltre, con i suoi “Like” e con i suoi “Share”, e con il suo propagatore di notizie è diventato molto potente, talmente tanto potente da causare perdite (o guadagni) in borsa per un’azienda, e talmente tanto malizioso da causare il licenziamento di un dipendente per una frase scritta in modo sbagliato. O la fine di un rapporto di convivenza.

Pedopornografia su InternetPerché è accaduto? E, perché mai è accaduto tanto rapidamente?

Il ‘perché’ è abbastanza semplice da capire a chi si avvicina, per curiosità o radicato interesse, alle teorie del gioco di ruolo e ai processi di mascheramento che il gioco di ruolo permette di mettere in atto.

Senza voler troppo approfondire, in quanto la teoria del gioco di ruolo andrebbe a costituire un tema diverso, possiamo dire: il ‘giocatore’ (l’utente di Facebook’) si costruisce (consciamente? Non sempre) un ‘personaggio’ (una sua immagine che vuole condividere), e con questo ‘personaggio’ può liberamente parlare di ciò che vuole e come vuole nella Rete, in quanto ciò gli è consentito dalla ‘comunità’, che, automaticamente e per sua natura, lo protegge. Che gli dà sicurezza.

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“E questo, potrei sostenere, è ciò che il World Wide Web ci offre, modello di prova di come sarà, in qualsiasi caso, il mezzo di comunicazione globale dominante. Oggi, nei suoi modi goffi, larvali, curiosamente innocenti, ci offre l’opportunità di perdere tempo, di girovagare senza meta, di fantasticare su innumerevoli vite, altra gente, all’altra estremità dei tanti monitor di quel meta-paese post-geografico che sempre di più, definiamo, comunque, casa.” [*]

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Facebook - FakebookE quindi, Facebook aiuta(va?) in effetti il contatto tra persone, rendendo fruibili metodi di comunicazione che agevolavano la socializzazione… ma la ‘comunità reale’ della Rete è ben lontana dall’essere quell’ambiente ideale che gli ‘Internet Evangelists’ (c’è ancora qualcuno che si firma così – e non si trattava, in origine, di qualcosa di religioso) profetizzavano nei primi anni Novanta. Essa è diventata qualcosa di molto più simile al ‘Grande Fratello Orwelliano’ – un “personaggio misterioso, di cui nessuno conosce la vera identità, e che osserva, spia e controlla la vita di ogni singolo cittadino”. Lo dimostrano il potere della singola notizia pubblicata su Facebook – spesso proveniente da fonte incontrollata (e quindi potenzialmente pericolosa, come nelle recenti campagne di dissuasione dall’uso dei vaccini sui bambini). Basta che una notizia abbia raggiunto un certo numero di “Like” (mille? diecimila?), e subito essa diventa “attendibile”, “da condividere”: eppure, quei “Like” si possono semplicemente … comprare con Paypal.

Patologie da uso della ReteLa sorte della notizia e della condivisione della stessa o del sentimento su Facebook è quindi terribilmente diversa da quello che ci si aspettava: la notizia stessa diventa “di proprietà” della Rete (di quel ‘personaggio misterioso’), non è più nostra; e ciascuno, sotto tutti i punti di vista, può farne quello che vuole – in tutti i sensi – e al ‘giocatore di ruolo’ che per primo aveva iniziato lanciando quella pietra, non rimane altro che constatare la propria esclusione dal gioco e guardare la pietra che rotola via … e, forse, il giocatore reagirà alzando la posta, e pubblicando ancora qualcosa d’altro, per riguadagnare il controllo, e via, e via – fino a trasformare il rotolare della pietra in frana, e fino a raggiungere l’orrore della ripubblicazione infinita di un video (molto ben curato e tecnicamente ben fatto – così come l’esigente platea che guarda sul telefonino vuole) in cui un uomo brucia vivo in una gabbia.

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“Come per molti prodotti del futurismo di un’era anteriore, troviamo difficile oggi immaginare le esatte coordinate da cui è sorta questa visione. In ogni caso, il nostro mondo non offre un surplus di tempo libero. Il mondo stesso si è fatto sospetto, strano e vagamente malinconico come la valigia di pelle sformata in una vetrina di Ralph Lauren.” [*]

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Facebook - Terms of ServiceDi base, Facebook non ha mai cambiato le sue regole originarie – che ha sempre esposto chiaramente nei contratti di licenza d’uso (pagine e pagine che nessuno legge prima di cliccare ‘sì’). Ha solo imparato a fare di più, e meglio. Al di là del suo progresso tecnico, infatti (piuttosto limitato, e non interessante nel nostro contesto: di Facebook fa impressione la solidità rapportata alle dimensioni, non l’ingegneria di base), è il numero di utenti a essersi moltiplicato. Noi, come utenti, non siamo solo lì ad affermare ‘di avere tanti contatti’ e di ‘avere tanti Like’ in un modo che lancia forti segnali pubblici (vengano essi raccolti o meno): lo facciamo con molte persone, e contemporaneamente (c’è chi dialoga – ‘chatta’ – con cinque o sei persone alla volta). Facebook ci permette di ‘moltiplicarci’ e di mantenere (virtualmente) un numero sempre maggiore di connessioni sociali e reti di relazioni. E questo è il motivo principale per cui si finisce per diventare ossessionati da esso – e s’impazzisce.

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“Non mi smuovo. Catturato. Questo è tempo libero – esplorare, facendomi strada a caso (…) o io immagino piuttosto di esercitare qualche funzione più dinamica? Il contenuto della Rete aspira a una varietà assoluta. Si può trovare di tutto là. È come rovistare negli avamposti della mente collettiva globale. Da qualche parte, di sicuro, ci deve essere un sito che contiene… forse tutto quello che abbiamo perso.” [*]

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In realtà, Facebook non sta più crescendo con il ritmo del passato. Come qualsiasi cosa, cresce, e inevitabilmente raggiunge il suo punto di saturazione, e in quel momento comincia a morire (nulla è eterno), e diventa (negli Stati Uniti è già diventato) via via meno interessante per una generazione più giovane. Parallelamente e in modo diretto cresce, quindi, l’importanza per l’azienda Facebook di fare in modo che gli utenti già esistenti diventino dei fedelissimi e non abbandonino mai il Network, e questo percorso passa anche attraverso l’acquisizione di altri metodi di comunicazione – come “Instagram”, come “Whatsapp”.

Come viene usato Facebook?

Facebook è il primo sito per lunghezza della visita: altri siti ricevono un maggior numero di visite, ma nessuno registra un periodo di permanenza quotidiano dell’utente così lungo. Tradotto: passiamo molto tempo della nostra giornata su Facebook.
La paura di ‘perdersi qualcosa’ perché non si è controllato il ‘Wall’ di Facebook è limitata: solo al cinque per cento degli utenti, sembra, spiace vedere che gli altri sono stati impegnati in qualche evento o appuntamento senza che l’invito sia arrivato anche a loro. L’ottantacinque per cento degli utenti ammette apertamente che gli eventi di Facebook non gli interessano per niente (sollevando quindi una domanda sull’efficacia di Facebook come veicolo d’informazione pubblicitaria): eppure quello della propagazione di annunci di eventi dovrebbe essere uno degli aspetti più socializzanti del Network; se aggiungiamo il dato relativo al disinteresse degli utenti per gli stessi ad altri dati – ad esempio, al basso o bassissimo riscontro nei confronti delle comunità che permettono di realizzare progetti lavorando assieme, o di assistenza sociale – l’interrogativo legato all’effettiva ‘socializzazione’ si fa ancora più grande. Se vogliamo ancora qualche numero: l’utente adulto medio di Facebook ha circa trecento ‘amici’. Solo il quindici per cento ne ha più di cinquecento, e la percentuale diminuisce sensibilmente quando ci si avvicina progressivamente ai seicento, settecento, ottocento amici e così via. Ai ‘mille’, si diventa una sorta di ‘personaggio pubblico’ (anche con il profilo privato). L’età e il sesso naturalmente sono fattori determinanti: una ragazza fra i diciotto e i ventinove anni, statisticamente, ha attorno ai cinquecento ‘amici’ (la cosa cambia drasticamente se non ha pubblicato una sua fotografia). Il dodici per cento degli utenti di Facebook ha chiesto almeno una volta a qualcuno fra i suoi amici di rimuovere un suo amico; normalmente un quarto di queste richieste riguarda la rimozione del partner o di qualcuno nei confronti del quale / della quale c’era stato un interesse romantico – e si ritorna alla ‘finestra sulla privacy’. Più della metà degli utenti di Facebook ha cancellato almeno una volta un messaggio che non voleva più fosse pubblico, la metà di loro ha rimosso almeno un ‘tag’ da una foto, e il sessanta per cento ha bloccato almeno uno dei suoi ‘amici’. Interessante è anche vedere come a molti utenti di Facebook ‘piaccia’ (“Like”) qualcosa che un altro utente sta facendo, o una sua foto e un commento – ma come nella maggior parte dei casi i “Like” crescano se sono espressi nei confronti di un contenuto che ha già ricevuto altri “Like” (quindi – se mi compro cento “Like”, è molto probabile che molte altre persone vadano aggiungersi a quei “Like”, e ci guadagno). Infine, il venticinque per cento delle persone che non hanno Facebook guardano le foto e i contenuti su Facebook attraverso qualcuno che lo usa regolarmente. (statistiche del 2014; PEW e altri)

Perché un utente lascia Facebook?

Immaginiamo che possa essere per tre motivi: come prima cosa, perché lo ritiene inutile, non necessario; come seconda, perché lo vede come distrazione problematica che impedisce di concentrarsi su altro. Da ultimo, perché è preoccupato per la propria privacy.

Considerato che il flusso d’informazioni che transita sulla ‘bacheca’ arriva da una quantità via via sempre maggiore di persone (anche se il numero di utenti di Facebook, abbiamo detto, non aumenta più come prima, si tratta sempre di un bel po’ di gente: nel 2008, Facebook aveva cento milioni di utenti; nel 2013, un miliardo e mezzo … ), e che, per la maggior parte, le notizie che riceviamo via Facebook sono irrilevanti (… “Oggi ho cucinato una bella frittata!” – corredata da foto della frittata), fra le cause per le quali si lascia Facebook la possibilità concreta di distrazione dalla vita reale (la seconda delle cause che abbiamo immaginato) si distingue nettamente rispetto alle altre.

Facebook - licenziamentiPer quanto riguarda la privacy, più informazioni condividiamo con una rete di persone via via più vasta, un dedalo di connessioni che non è in realtà costituito da nostri amici – ma neppure, a volte, da semplici conoscenti – e che annovera in essa anche una grande quantità di falsi profili, pseudonimi e gruppi di persone dell’esistenza delle quali non abbiamo neppure idea) – più informazioni condividiamo più Facebook diventa una finestra nella quale chi siamo (ciò che siamo – comprese quelle parti di noi che vorremmo mantenere private) si trasforma in pubblico e in potenzialmente esposto su scala mondiale. Il direttore della nostra azienda che produce biciclette, che siede ad Hong Kong, sa che ieri siamo andati in bicicletta; e sa anche che abbiamo preferito comprare una bicicletta della concorrenza, e che quindi ‘non crediamo nell’azienda’.

Più pubblicamente sottolineiamo e affermiamo i nostri legami – più cresce il numero di persone che contattiamo e con le quali condividiamo qualcosa – più facile diventa raggiungere il punto in cui ci ritroviamo (ottenendo come contropartita una rete di contatti esclusivamente virtuali) con la mente satura e la nostra privacy completamente erosa. Tutta questa socializzazione, alla fine, dà un po’ sui nervi – senza voler affrontare il tema della conversazione durante il pranzo fra persone che hanno tutte uno Smartphone in mano, o dei colleghi di lavoro che, seduti fianco a fianco a un metro di distanza, fra loro ‘chattano’ via Web.

 

 

Come reazione, sempre più utenti di Facebook cercano di tornare alle origini, di trasformarlo di nuovo in quel ‘Wall’ universitario configurando sul loro profilo una vasta serie di controlli automatici sulla privacy, o pubblicando molti messaggi con ‘richiesta di tutela’, e cercando di … contenere l’accesso ai contenuti condivisi (il settanta per cento degli adolescenti, comprensibilmente, sceglie profili di tipo privato, e molto spesso è la famiglia ad affiancarsi a loro in questo percorso).

V per VendettaE Facebook, di per sé, non è un ‘testimone trasparente’ di ciò che accade sulla sua infrastruttura: alcuni messaggi pubblicati, alcuni contenuti, vanno supervisionati, a volte rimossi – sicuramente vanno rimossi se c’è un seno scoperto in una foto ( … ma non in tutti i casi), oppure se si è incluso un brano musicale protetto da diritto d’autore in una presentazione video ( … ma non in tutti casi). Sicuramente ci sono i terroristi da controllare (e non c’è niente da fare) – ma, e questo forse preoccupa di più, s’interviene anche se c’è un invito di un gruppo a unirsi a una protesta civile o sociale (com’è accaduto per le proteste anti-corruzione in Russia). Si è imparato molto, da ciò che è accaduto nella Primavera Araba, e i gestori dei Social Network si sono trasformati in … serie società multinazionali che devono, per definizione, mantenere buoni rapporti con le realtà locali, i governi e le autorità. E ciò ricorda molto Adam Sutler e l’eroe che lo combatteva – per quanto l’immagine divenuta poi icona del film (e, prima, del fumetto) sia stata oggetto di abuso e sia diventata qualcosa dal contenuto un po’ sinistro.

Facebook non ha mai ammesso pubblicamente di aver bloccato o rimosso contenuti legati a proteste sociali, dichiarando che ‘un’indagine era in corso’. Ma le fonti che citano questi episodi (come ad esempio il network russo VKontakte, ripreso anche dal Washington Post) sono autorevoli. Ora, naturalmente, lo scenario internazionale è diverso, e diverse sono le reazioni agli eventi. E di nuovo ci viene in mente il personaggio del fumetto.

Facebook - Face RecognitionMolti utenti attraversano delle difficoltà perché il loro profilo si ritrova collegato a quello di gruppi delle attività dei quali non sono consapevoli, e vedono loro commenti o loro fotografie utilizzate al di fuori del loro contesto e (nel pieno rispetto del contratto di licenza con Facebook, che tutti accettiamo prima di accedere) senza la loro autorizzazione. Facebook è ormai un Must, è obbligatorio per gli investigatori e avvocati, e per tutte le società di verifica, per ottenere informazioni su qualcuno; e nessun altro mezzo di comunicazione viene normalmente menzionato come preponderante durante le statistiche relative agli illeciti. Come prima cosa, chi investiga ci guarda su Facebook. E usa (poi si vedrà come) i materiali che vi trova: un giudizio di un investigatore (o di un selezionatore, se state cercando un lavoro) viene molto spesso espresso sulla base di ciò che quel selezionatore ha visto a proposito di voi su Facebook. Se si pensa che questa sia solo un’opinione di chi scrive – molto interessanti sono ‘Facebook e il rischio di de-contestualizzazione dell’informazione’ di Franck Dumortier (Facultes Universitaires Notre-Dame de la Paix) e altre ricerche, pubblicamente disponibili. De-contestualizzazione che alla fine minaccia non solo la protezione dei dati, ma il diritto alla privacy in sé. La partecipazione a un Social Network presuppone la registrazione con identità pubbliche, segni ‘reali’ d’identificazione (foto, video, e-mail …) che permettono la reale interazione e comunicazione fra soggetti. Se è vero che il ‘gioco di ruolo’ acquista una parte preponderante nella comunicazione, questo ‘gioco’ è comunque collegato al ‘mondo reale’ e a corpi e persone reali (il ‘Face Recognition‘ automatico è stato ‘rimosso’ da Facebook per aver raggiunto un livello molto elevato di sofisticazione e aver sollevato dubbi inquietanti). La decontestualizzazione deriva da alcuni aspetti importanti, fra i quali la semplificazione delle relazioni sociali sul Network, l’enorme quantità d’informazioni disponibili e loro disseminazione, e la globalizzazione (e quindi interazione con altre realtà e altre culture, che ‘comprendono in maniera diversa’ ciò che facciamo).

“Because while the truncheon may be used in lieu of conversation, words will always retain their power. Words offer the means to meaning, and for those who will listen, the enunciation of truth. And the truth is, there is something terribly wrong with this country, isn’t there? Cruelty and injustice, intolerance and oppression. And where once you had the freedom to object, to think and speak as you saw fit, you now have censors and systems of surveillance coercing your conformity and soliciting your submission. How did this happen? Who’s to blame? Well certainly there are those more responsible than others, and they will be held accountable, but again truth be told, if you’re looking for the guilty, you need only look into a mirror.” (Alan Moore)

Però, in fin dei conti, il positivo c’è, ed è qualcosa di molto importante: se Facebook non esistesse, se non si fosse sviluppato così com’è avvenuto e non avesse fatto quello che ha fatto, nessuna delle considerazioni fatte finora sarebbe stata possibile . Facebook è nato in un paese simbolo, ed è diventato esso stesso un simbolo e un motivo di profonda riflessione. Non è una riflessione in negativo, ma una riflessione sulla libertà d’espressione e sulla libertà di comportamento – e ciò non sarebbe stato altrettanto facile in altri paesi e in altre società. Facebook ha un grande merito: con la sua esistenza, ci mette in guardia da che cosa la nostra esistenza potrebbe diventare, ed è quindi un fattore di libertà.

“Il tutto evolverà molto probabilmente in qualcosa di assai meno casuale, e meno divertente – abbiamo la vocazione per questo -, ma allo stesso tempo, nella sua fase gloriosamente disordinata di universi da cartolina televisiva del villaggio globale, navigare in Rete è il sogno di un procrastinatore. E la gente che vi vede farlo può persino pensare che stiate lavorando.” [*]

Roberto Srelz © centoParole Magazine – riproduzione riservata

[*] Da “The Net Is a Waste of Time’, scritto da William Gibson (http://www.williamgibsonbooks.com) per ‘New York Times Magazine’, luglio 1996. Traduzione di Stefania Benini.

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4 Replies to “La Rete è una perdita di tempo: Facebook World”

  1. cesare ha detto:

    Credo che Fb. più che personalizzare spersonalizzi. Si perde in notizie più che altro futili, di semplice condivisione nell’essere trasmesse. Manca di sostanza, di creatività. Questa è più difficile da condividere perché deve nascere genuinamente in noi e non semplicemente copiata ed inviata come tanti post inutili. Molti si limitano ad un “like”, senza esprimere il proprio pensiero. E poi nessuno garantisce sull’attendibilità di quanto si scrive o si condivide. Si cerca la sensazione, ma non la sostanza del contenuto.
    Ecco perché non mi sono mai iscritto a Fb.

  2. cesare ha detto:

    Ma da poco mi sono iscritto anch’io almeno per prova e per curiosità!

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