Il graffio nella musica: Samuele Orlando

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robertoSrelz-1414_rdScusami, sono in ritardo, ho appena finito una lezione di musica a una ragazza.

Non in ritardo … un po’ di corsa. Chi non lo è. Samuele Orlando, giovane musicista e compositore triestino; che strumento insegni?

Insegno pianoforte moderno.

Qual’è la differenza fra il pianoforte classico e quello moderno?

Differenza fra pianoforte classico e moderno: l’insegnamento del pianoforte classico è basato esclusivamente sulla musica classica, mentre nel moderno applichi basi di musica classica, imprescindibili, ma la specializzazione è sui generi moderni, sul Pop, il Rock, Blues, Jazz; soprattutto Jazz, nell’ultimo periodo. La conoscenza della musica classica – la lettura del pentagramma, le scale, tutto ciò che sta alla base – rimane fondamentale, altrimenti non arrivi da nessuna parte.

Samuele OrlandoA che età hai iniziato a suonare?

Sette anni. Il clarinetto. Mi hanno obbligato! Davide Casali, mio zio, suonava già il clarinetto con Moni Ovadia, io volevo suonare la batteria …’No! Suonerai anche tu il clarinetto!’ Nel clarinetto io neanche ci soffiavo due note giuste dentro, e Davide era già sul palco, con i virtuosismi. Lui è stato il mio esempio ma a quattordici anni ho deciso che il clarinetto proprio non faceva per me: nella sala in cui suonavo c’era un vecchio pianoforte, e mezz’ora, un’ora, due ore ogni giorno … poi ho fatto il passaggio e c’è stato solo il pianoforte. Mi è stato utile saper già leggere la musica, e sono stato in grado di iniziare con il pianoforte senza dover ripartire da zero. Ho iniziato relativamente tardi, con il pianoforte, quindi… quattordici, quindici anni. Nel 2001. Di solito inizi a otto anni. E sono in ritardo al Conservatorio, avrei dovuto finire già … troppo tempo fa. Ma non mollo!

Pianoforte.

Si, pianoforte. In Conservatorio sono entrato per il pianoforte.

Davide Casali - Trieste Summer Rock FestivalCi sono altri artisti, nella tua famiglia, o siete solo voi due?

Io e mio zio Davide, nessun altro. Mia mamma suonava la chitarra e cantava. La musica è sempre stata la mia passione. Il mio mito è sempre stato Davide Casali, comunque – è stato lui a farmi da guida, a tirarmi su, nell’organizzazione delle cose, nella musica. Forse anche troppo mito perché poi tendi ad assorbire anche i difetti! (sorride). Davide è un mito che non si fa mai avanti; c’è, sempre, ma è sempre lì un po’ nascosto.

Qual’è lo strumento più difficile da suonare?

Il violino. Ma non per la difficoltà dello strumento in sé; tutti gli strumenti, in fin dei conti, sono difficili. Con il violino, però, hai un compito arduo: quando suona il violino, normalmente tutti gli altri strumenti seguono, se tu sei il violino tutto è concentrato su di te e le aspettative di chi suona assieme a te sono grandi. Altissime. Il violino dev’essere … Paganini. Se non sei Paganini, non va bene. Esagero naturalmente ma il primo violino deve eccellere, è il primo violino che dirige l’orchestra: il direttore è la facciata.

Samuele OrlandoE il pianoforte?

Il pianoforte, per come lo suono io almeno, è un po’ un tappabuchi: gli altri strumenti non arrivano – arrivo io, il libero della squadra, che copre e da’ supporto. Tutto è difficile, comunque, nella musica, quando t’impegni per farla a un buon livello.
Il violino mi è sempre piaciuto molto. Avrei voluto provare, ma è veramente impegnativo – un anno d’esercizio solo per poter tenere in mano l’archetto, prove, prove, prove … più avanti lo farò di sicuro, adesso non mi è possibile.

PinkoverIn quanti gruppi suoni? Tantissimi! Vai a un concerto, e dietro, nel gruppo ma seduto in fondo alle tastiere, c’è Samuele Orlando.

Domanda molto aperta! Ti spiego, i gruppi musicali si dividono grossomodo in due categorie: quelli che hanno bisogno di far prove tre volte a settimana per tre mesi prima di esibirsi e quelli che, quando hanno la data confermata, fanno due prove e suonano in pubblico. Come a ‘Sottolostessocielo’, ad esempio. Io collaboro con gruppi fatti proprio così – già preparati: due prove, e si va sul palco. Per questo mi vedi tante volte e con tante persone diverse; fino ad ora penso di aver suonato con una trentina di gruppi.
I due gruppi con cui provo molto, invece, e con cui seguiamo un progetto articolato sono il ‘Final Fantasy Italian Project‘ e i ‘Pinkover‘.

Suoni anche con gruppi di fuori.

Soprattutto di fuori e anche all’estero. Ho suonato con due formazioni negli Stati Uniti, ho suonato in Giappone. Tante cose. Ma un musicista deve fare tante cose, continuamente – se non ti impegni ogni giorno in qualche cosa non vivi: tre lezioni di piano oggi, un concerto in teatro domani, dopodomani una festa … poi c’è il tour in Giappone, poi arriva l’assegno della SIAE per la tua musica ed è bello – ma il giorno dopo ti si rompe uno strumento e l’assegno se ne va tutto più qualche cosa, e allora il giorno dopo ancora, invece di suonare a quel tal concerto, sei la’ a metter giù le sedie e i tavoli per il pubblico … è la vita dell’artista. La vita dell’artista – del musicista – è molto strana: è composta da migliaia di frammenti.

Hai suonato anche in Giappone? Com’è stato?

Si, con il gruppo ‘Passover’ di Davide Casali, ed è stata un’esperienza straordinaria. Per la cultura. Per la sensibilità nei confronti della musica; se qui il movimento Underground musicale raggiunge, che so, cento persone – in Giappone lo stesso movimento è fatto da diecimila persone. Queste sono le proporzioni.

Cos’è il movimento Underground?

L’ ‘Underground’ è la musica che non va su MTV, che non si vede sulla prima rete televisiva e che non si sente dalla radio più ascoltata. Quindi, nell’Underground, hai il gruppo che fa musica magari un po’ diversa e che non ha successo commerciale perché non rispetta i canoni delle cose in voga – e che a Trieste ascolterai al ‘Tetris’ e all’ Etnoblog’. In Giappone, a sostenere questo tipo di musica hai strutture adeguate e un’organizzazione che permette comunque a questi gruppi, che nessuno conosce, di sopravvivere e di sperimentare – e di chiamare, perché no, un gruppo italiano a suonare.

Final Fantasy Italian ProjectDi ‘Final Fantasy Italian Project‘ sei tu il leader.

Si, con l’aiuto di Lorenzo Visintin. Io organizzo, cerco le date, dirigo le prove. Nei ‘Pinkover’ invce sono solo un seguace, il capogruppo è Federico Mreule; nei ‘Pinkover’ mi trovo molto bene e anche loro sono molto contenti della mia presenza; mi fa piacere.

Sei anche compositore. Scrivi tanta musica?

Scrivo molta musica, si. Tanta su commissione. Per ora non faccio più progetti miei, del tipo di quelli con il titolo: ‘Musica scritta da Samuele Orlando e cantata dalla bellissima …’; la musica che scrivo va sulla colonna sonora di un cortometraggio, o va su un singolo, un documentario … ho messo da parte il sogno di diventare famoso col singolo ‘Pop’. Due o tre, ne ho fatti, ma c’è una forte componente di business, ci vuole un buon manager, e per ora non ci lavoro più. Non posso fare io il manager di me stesso – sai quelle cose: ‘Ah! Il mio artista è fantastico!’ – ‘Ma chi è?’ – ‘Sono io’. Non va tanto bene.

Samuele Orlando e Chiara Gelmini - Sottolostessocielo TriesteQuanti pezzi hai scritto?

Un centinaio. Non tutti pubblicati. Alcuni restano nel cassetto per anni, fino a quando arriva il momento in cui rimetti le mani fra le scartoffie e lo trovi e lo metti dentro a qualcosa, a uno spettacolo o a un disco. Ho scritto molte cose etniche, Klezmer, musiche per formazioni popolari. Le amo molto. E sono le mie radici – io sono di religione ebraica, ma sono cose che sento mie comunque, al di là della religione. Mi piace la musica etnica di tutto il mondo, la voce del mondo, come nello spettacolo che abbiamo fatto di recente con Chiara Gelmini e che conteneva pezzi di molte nazioni e molte culture. La sofferenza e l’allegria di un popolo – perché non tutto è sofferenza, c’è anche la gioia. Più spesso senti racconti e canzoni di sofferenza … di solito nei musicisti c’è un’impronta malinconica, molto esistenziale, talvolta triste. Credo sia più facile scrivere melodie di cose tristi, di dolore e nostalgia, che di cose allegre.

Sai, io credo sia molto importante non finire nel vortice, non diventare anonimi dentro a una globalizzazione fatta di telefonini intelligenti e di spersonalizzazione delle cose: la tradizione non deve scomparire, non è giusto parlare solo in inglese, suonare in serie, cantare solo in inglese e vivere solo d’immagine.

Com’è accompagnare musicalmente una cantante, un cantante?

Molto intimo. C’è sintonia. Istinto, sintonia e cose studiate assieme; se le cose non vanno assieme, musica e cantante si esprimono separatamente nel pezzo e te ne accorgi, sono due cose distanti e non una sola, non va.

Samuele Orlando - Trieste Summer Rock FestivalPensi che suonare tante cose diverse possa essere uno svantaggio? Credi che un artista, a un certo punto del suo percorso, debba concentrarsi su una cosa sola, o che possa continuare sempre a spaziare libero?

Ciascuno fa quello che preferisce naturalmente però per un musicista è importante lasciare un’impronta, una propria identità che faccia capire a chi ti ascolta che quello sei tu. Anche se poi fai Pop, Blues, Jazz … però un tuo graffio, un’impronta, alla tua musica la devi dare. Se ascolti un pezzo dei Pink Floyd – che sia strumentale, o cantato – capisci immediatamente che sono i Pink Floyd: quello è il ‘graffio’. La stessa cosa vale per i Queen, i Doors … adesso mi vengono in mente solo pezzi Rock ma vale anche per tutti gli altri. Vorrei farti un esempio più chiaro: John Williams, il compositore americano. Se senti un film dove lui è compositore, lo riconosci subito – che sia un film comico o che sia ‘Star Wars’.

Un’etichetta musicale si può anche creare?

Certo. Però … di nuovo, ti trovi a essere il manager di te stesso, e arrivare a un livello più alto è difficile. È difficile presentarsi a un pubblico e dire: ‘Guarda quant’è valido questo mio prodotto! Il mio prodotto sono io – sono bravo!’ Più facile forse il contrario, arrivare a una tua etichetta quando sei già affermato.

Ci sono comunque distinzioni marcate fra casa discografica, etichetta e agenzia. Ecco, forse così l’esempio è più corretto: l’agente di te stesso è meglio non farlo; una tua piccola etichetta indipendente, da lanciare sul mercato, con prodotti offerti a chi vuole usufruirne – ad esempio il produttore di un film che cerca una colonna sonora – si può fare benissimo. L’agenzia fa promozione – diventi il tuo stesso ufficio stampa, se fai da solo, e non è sempre la scelta migliore, è veramente difficile.

Troppa musica, attorno a noi?

Forse si. Il problema della musica, oggi – come quello della fotografia – è che moltissimi lo fanno per moda. È molto facile accedere a queste forme d’arte: ti scarichi gratis il software e la tastiera da cinquanta Euro e diventi un DJ con le basi già pronte. Non è, a quel punto, qualcosa di creativo, ma molti credono che sia così. La musica risente molto di questo fenomeno, tutte le forme di musica ne risentono – dal musicista dal vivo che è stato sostituito dal DJ con l’iPad, al musicista da cerimonia che è stato sostituito dall’omino con le basi che arriva e ‘suona’ per otto ore … e tu non ci vai, a quella cerimonia, perché costi troppo, sei ingombrante, e non riesci a far ballare la gente come fa lui. E così anche noi dobbiamo mettere da parte la carta da musica e gli strumenti, e adattarci a portar dietro l’iPad con le basi, perché devi vivere, e fare come loro. Magari mi porto dietro un pianoforte lo stesso, per far vedere che qualche tasto lo tocco – però dietro c’è il computer che fa quasi tutto da solo, basi pronte col testo, e ti devi ridurre così.

Ma questo perché? Perché si vuole più qualità?

Al contrario. Perché si vuole, o si accetta, meno qualità. Perché basta la confusione, Raffaella Carrà, Patty Pravo, Renzo Arbore alla festa – e sempre gli stessi pezzi in sottofondo e tutti sono contenti. L’orchestrina della festa è stata sostituita dall’iPad e dai due omini con le basi, che fanno più ‘festa’ di te. Tutto elettronico. Poi, non so se è proprio altrettanto divertente … però non ti so dire se ci si voglia proprio divertire, o se basti ‘far festa a tutti i costi’.

Samuele Orlando‘La Grande Bellezza’. Samuele, di musica, si vive? Economicamente, intendo.

Difficile. Vivi, si; ma con difficoltà. Devi fare di tutto. Devi comporre e vendere la tua musica, per fare in modo che dalla SIAE ti arrivi qualcosa; devi fare il turnista e aspettare l’ingaggio di un altro che ti chiede di suonare i suoi pezzi, devi fare l’insegnante, devi organizzare l’evento del sabato, telefonare, creare un servizio completo per il tuo cliente. A tutto tondo.

Come funziona l’ingaggio di un musicista da parte di un altro musicista? C’è qualche agenzia che vi mette in contatto?

No, sono perlopiù contatti diretti. Il musicista bravo, che s’impegna, troverà sempre lavoro, perché un musicista avrà sempre piacere di affidare un suo pezzo a un altro musicista che non gli crea problemi e lo esegue bene – che è professionale. Una prova, due prove – e si va. Così deve funzionare. Se non va così, magari perché il musicista non è preparato e magari perché il musicista ora lo fanno tutti, non si riesce a lavorare e il legame con chi t’ingaggia si spezza. Di recente sono stato molte volte chiamato e scelto, senza propormi, e questo mi fa molto piacere perché mi fa capire che la professionalità, l’impegno sono la strada giusta: più suoni, più ti fai conoscere, e più suoni bene più vieni apprezzato e vai avanti così. E non è solo il mio caso. Naturalmente la fama va in due direzioni … ti possono riconoscere anche perché hai fatto male.

Poi, sul palco, tante volte conta anche il personaggio – l’aspetto – non solo le capacità musicali. E sarà sempre così. Ci sono gli ambienti in cui conti tu e gli ambienti in cui contano il tuo corpo e il tuo vestito.

Com’è Trieste, come piazza, dal punto di vista musicale?

Trieste è molto difficile. I musicisti triestini che ce l’hanno fatta non suonano quasi mai qui in città. Trieste ha un pubblico mediamente molto adulto o anziano, estremamente esigente, estremamente conservatore, che ti chiede di ‘suonare sempre quella, quella bella’. Inoltre, le organizzazioni della città sono molto competitive, non molto inclini a formare collaborazioni – e questo come sai anche tu non vale solo per la musica, non siamo una città in cui socializzi e collabori facilmente. Ci sono pochi posti al sole e nonostante tutto anziché collaborare ti fai la guerra per niente. Fra musicisti amici, c’è molta solidarietà; con i conoscenti invece … competizione totale. I musicisti sono una brutta categoria.

Forse, tutti gli artisti?

Ma no – brutta categoria è esagerato, è una battuta. Non scriverlo. È che devi vendere te stesso, devi vivere e farti avanti. E questo ti porta, con le tue relazioni, in situazioni anche difficili.

Avete un listino prezzi per i concerti e le esibizioni?

No, non esiste. Cerchi di non scendere sotto un certo prezzo ma non c’è una tabella vera e propria. A volte accetti lo stesso anche se sei sotto quel prezzo, perché ti fa piacere farlo, o perché comunque ne hai bisogno.

La crisi ha colpito anche voi?

Moltissimo. Quando ho iniziato, nel 2005, suonavamo tre, quattro volte a settimana. Adesso suoniamo una volta se va bene. C’è chi ti dirà che poco prima del 2000 si suonava ancora di più, ed è certamente vero: si stava bene, si suonava tanto. Ad andare troppo indietro cambia il contesto e non so quanto abbia senso paragonarlo a oggi, ma il 2005 è vicino, ed era tanto diverso.

Ora sei anche direttore artistico. Quante cose!

Ho un po’ paura a dire questa cosa. Si, è un’esperienza nuova – ho scelto la programmazione musicale (il direttore artistico dovrebbe in realtà curare anche l’aspetto visivo, complessivo della rassegna, non solo la musica); la Confesercenti di Trieste, con Giuseppe Giovarruscio, mi ha scelto per il ruolo di direttore artistico di ‘Sottolostessocielo’. Speriamo possa continuare. La manifestazione ha avuto successo e tutto si è svolto molto bene, e voglio ringraziare Daniele Persoglia, che ha fatto un gran lavoro assieme a me. Se sarà possibile, se ci chiameranno ancora, continueremo. Ora ho anche un ruolo organizzativo in ‘Fumetti per Gioco’, il festival del fumetto e del gioco triestino, e crediamo molto anche in questo.

Per gli artisti emergenti c’è sostegno?

Ci sono delle strutture, anche istituzionali, che ti sostengono, come i Poli di Aggregazione Giovanile di Trieste. Ed è possibile continuare poi a fare attività sostenute impegnandosi almeno un po’ nel sociale, nell’aiutare gli altri. A meno che non subentri un altro problema, che capita spesso con i ragazzi che iniziano: diventi subito una primadonna e inizi a dire: ‘No ,voglio soldi e per meno di quello non vado’. E questo è un errore, non è sempre un buon approccio: devi andare gratis, invece, perché stai iniziando, ed è tuo dovere imparare e dare una mano.

Prima impara – e poi chiederai, insomma. Il Comune, la Regione ti supportano, ti creano le situazioni – non ti danno i soldi, ma non è detto che siano quelli che ti servono. A volte è il musicista giovane a essere testardo. Non va a fare le lezioni, perché si sente già pronto; non segue le ore di prova, cura poco l’aspetto tecnico, si veste da grande ‘Rocker’ perché farlo è bello, e studia per ore le mosse da fare sul palco – e non si accorge, quando inizia a suonare, di avere la chitarra scordata. O forse non sa cosa vuol dire avere la chitarra accordata. A voler bruciare le tappe subito, non fai un buon affare.

Ti è capitato spesso?

A Trieste c’è tanta gente che suona e non sa leggere la musica. ‘Uh! Non mi serve!’ Non ti serve? Va bene, è vero … se ascolti un pezzo dei Pink Floyd e lo studi molto riesci a venirne fuori, l’impari a memoria, non ti serve leggere la musica e lo fai. E poi? Ci sono volte nelle quali hai l’ingaggio in studio, arriva il produttore, ti mette là il plico e ti dice: ‘ Tenga. Va bene, non sarà buona la prima perché non ha visto la musica in tempo, ma la seconda deve esser buona, altrimenti chiamo un altro’. E a quel punto se non sai leggere la musica che cosa fai? Questo, il musicista da bar non riesce a capirlo; chi vuole ‘arrivare’ subito, non lo capisce.

L’insegnamento della musica nelle scuole primarie?

Rispetto ad altri paesi europei c’è molta meno attenzione. Molta meno. Solo di recente si sono creati dei licei musicali. Ma molti musicisti di talento, se la famiglia può permetterselo, vanno a studiare a Graz, a Londra, a Boston, o in Germania. E così perdi i musicisti che magari hanno talento ma non capacità economiche.

Qual’è stato il personaggio che hai incontrato e che ti è rimasto di più nel cuore?

Assieme a Davide ho conosciuto moltissimi artisti, moltissimi personaggi importanti del mondo della musica, e non vorrei dimenticarne nessuno – non vorrei trascurare niente delle cose molto importanti che ho imparato da tutti loro. Chi mi ha dato veramente qualcosa d’importante è stato Flavio Premoli, della ‘Premiata Forneria Marconi’: nel giorno del suo compleanno, in un concerto al Teatro Rossetti, mi ha mostrato delle cose sulla tastiera, senza impegno, era lì, sul palco, mi ha fatto avvicinare e mi ha insegnato. Mi dimentico di persone importanti, però, rispondendoti, e non voglio farlo – penso al batterista dei ‘Deep Purple’, a ‘Emerson Lake & Palmer’ … ai ‘Rhapsody’, agli ‘Yes’, alle ‘Orme’, Claudio Simonetti … non dimenticherò mai Roberto Tramontini e Lorenzo Castellarin.

Su cosa stai lavorando?

Ora sto registrando un disco di musica Klezmer. Stiamo scrivendo i pezzi, uscirà l’anno prossimo.

E il ‘Final Fantasy Italian Project’?

È difficile portarlo in giro, perché siamo tanti. Siamo in quindici. Però sta ricevendo molto consenso, e nelle occasioni in cui suoniamo abbiamo mille, mille e cinquecento spettatori. È un ottimo progetto, e lo dimostra ogni anno di più; nel 2015 vorremmo portarlo fuori dall’Italia, e stiamo contattando le fiere europee del settore. Poi ci sono delle altre notizie in arrivo, forse, notizie importanti … ma te le darò più avanti. Sorprese.

Tu ce l’hai già, il tuo ‘graffio’?

Spero proprio che sia quel tratto malinconico che metto nella mia musica etnica. Spero che sia così. Anche quando scrivo un pezzo Pop cerco di lasciarci dentro qualcosa di legato alla mia cultura, in modo che sia riconoscibile. Cultura, ed emozione.

Roberto Srelz © centoParole Magazine – riproduzione riservata

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2 Replies to “Il graffio nella musica: Samuele Orlando”

  1. cesare ha detto:

    Bella intervista, che ci trasferisce all’interno del mondo della musica, un mondo affascinante, ma che oggi trova degli ostacoli, che sono poi quelli comuni anche a tante altre forme d’arte. Sopperisce l’entusiasmo e la passione di chi suona, di chi si ingegna con passione ed applicazione per migliorarsi, per creare atmosfere sempre nuove, anche se le proprie origini e gusti personali ritornanno, come nel caso di Samuele Orlando, in suoni di natura etnica. Si avverte nelle parole dell’artista l’amore per la sua professione, e quell’aspettativa continua di fare musica, di trasmettere qualcosa di emozionante a chi ascolta. Perché la musica è trasferimento di emozione fra chi suona e chi riceve il suono grazie ad un pezzo che riesce a toccare le corde del cuore, dell’anima.
    Entusiasmo, amore, passione, sono gli ingredienti indispensabili per il creativo che vuole, come Samuele, diffondere il suo “graffio” d’artista.

  2. cesare ha detto:

    Apprendo solo ora della scomparsa di Samuele avvenuta nella notte fra domenica 12 e lunedì 13 marzo a Trieste. Ho scritto il commento precedente senza saperlo. Mi dispiace moltissimo e non so aggiungere altre parole. Sembra strano invitare al silenzio per un musicista, ma anche una pausa silenziosa fa parte della musica, ed è quella che gli voglio dedicare. R.I.P.

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