Poetessa del colore: la vita di Anita Pittoni

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pittoni 12Anita Pittoni, definita la poetessa del colore, è stata un’artista triestina poliedrica, nonché un grande personaggio culturale di Trieste. Il suo linguaggio espressivo prende spunto dal Futurismo, dall’Astrattismo e dal Costruttivismo. Grande artigiana e lavoratrice, ha realizzato moltissimi bozzetti per costumi teatrali e per balletti; si è occupata di moda e di arredamento, rivoluzionando, con le sue idee originali, innovative, e con tessuti semplici, gli abiti della moda italiana d’allora. Fu sostenitrice del valore della manualità e della creatività, che danno un grande risultato anche con l’utilizzo di materie prime povere. Si è inoltre dedicata alla scrittura, componendo alcune poesie e racconti, anche in dialetto triestino. Anita è stata, senza dubbio, un personaggio importante e significativo per la città di Trieste.

Ripercorriamo in maniera dettagliata la sua vita.

Anita Tosoni Pittoni nasce a Trieste il 6 maggio 1901 da Angelina Marcolin (Trieste 1880-1940), una ricamatrice, e da Francesco (Cormons 1876 – Feldholf 1917), un ingegnere che lavora presso l’Ufficio tecnico del Comune. Anita ha tre fratelli: Bruno (1902-1960), Franco Ribelle (1904-1941) e Gracco (1908-1910). La famiglia abita in via Nuova (l’attuale via Mazzini) e nel 1909 si trasferisce in piazza Vico 2.Sicuramente dalla madre la giovane Anita eredita la passione per il cucito, per il lavoro manuale; dal padre, il carattere preciso.

 

pittoni 1Frequenta il Liceo Femminile (oggi Istituto Magistrale Carducci) e ottiene la maturità liceale come cittadina italiana (precedentemente la sua cittadinanza era austriaca); segue i corsi di lavori femminili, e canto – senza però sostenere gli esami finali di quest’ultimo. Quando muore il padre, il tutore di Anita diventa suo zio Valentino – deputato socialista al Parlamento di Vienna, e fondatore delle Cooperative Operaie di Trieste, Istria e Friuli.

Purtroppo, a causa delle condizioni economiche della famiglia, la giovane donna non può continuare gli studi; impara però a tessere a telaio e a lavorare a maglia. Pian piano inizia a frequentare l’ambiente artistico triestino e conosce il pittore futurista Marcello Claris e per lui realizza, nel 1927, l’arazzo presentato alla I Esposizione del sindacato delle belle arti e del Circolo Artistico di Trieste.

È il 1928 e Anita decide, durante un viaggio a Vienna, di lasciare la sua famiglia per dedicarsi all’artigianato tessile. Ad ospitarla sono due sue amiche, le sorelle Wanda e Marion Wulz (i Wulz sono i titolari di un importante atelier fotografico, in Corso Italia a Trieste).

Il suo nome inizia a suonare familiare tra le persone, che le commissionano alcuni capi: inizia a creare i primi golfini, e inventa il punto alto leggero a intarsio – che permette infinite combinazioni strutturali. E chi meglio di Wanda, una brava fotografa, può scattare le foto alle sue prime creazioni?

In questo periodo, Anita frequenta il medico triestino Parovel, ma all’anagrafe la Pittoni risulta sempre nubile.

pittoni 2Nel 1929 Anita abita in Corso Vittorio Emanuele III 19 a Trieste, e posa per le Wulz, indossando un abito futurista creato da Claris. Grazie all’architetto triestino Gustavo Pulitzer Finali, riesce a mettersi in contatto con Giò Ponti, il fondatore della rivista “Domus” – un mensile che raccoglie tante idee nel campo delle arti decorative e dell’arredamento – che pubblica sul suo giornale un arazzo della Pittoni. Tramite Claris, Anita conosce a Roma Anton Giulio Bragaglia – scopritore di talenti, innovatore del teatro, e autore del primo film d’Avanguardia del mondo (girato nel 1916). Grazie a lui, Anita presenta i suoi lavori al Sindacato Fascista delle arti plastiche, presso il Circolo Artistico di via Margutta.

Bragaglia, nel 1930, scrive molti articoli su Anita sottolineando il fatto che le sue creazioni sono innovative e il suo stile originale. Le chiede di collaborare per la realizzazione degli abiti della commedia jazz “La veglia dei lestofanti” di J. Gay.

Lo spettacolo debutta l’otto marzo presso il Teatro Filodrammatici di Milano, e i costumi della Pittoni, dall’impronta futuristica, appaiono sotto una diversa luce: sono innovativi, completamente differenti, da ciò che si vedeva all’epoca; e risultano anche un po’ trasparenti. Partecipa a varie mostre e manifestazioni, tra le quali la Triennale d’arte decorativa a Milano.

Il 1931 è un anno ricco di dinamismo: Anita scrive un articolo per la rivista “Domus”, partecipa alla Fiera nazionale dell’artigianato di Firenze, a Trieste assieme ad altri artisti fonda il Teatro del Convegno – una scuola sperimentale di arte scenica, musica, canto, danza, moda. Anita viene inoltre scelta come maestra d’arte presso l’Istituto per le piccole industrie, ed è lì che, ad una quindicina di ragazze, inizia ad insegnare le tecniche per la lavorazione a mano di arazzi, tappeti e maglierie.

pittoni 7Nel 1932 Anita trasferisce la sua casa-laboratorio in via D’Annunzio 1 (l’attuale via del Teatro). In questo anno la Pittoni partecipa con la sua “bottega-scuola” alla Fiera dell’artigianato a Firenze. Anita viene chiamata da Pulitzer Finali a far parte del gruppo di artisti che arredano la grande turbonave “Conte di Savoia”: realizza le cortine in tulle ricamato e alcuni grandi tendaggi. Ormai il suo nome inizia a farsi conoscere anche oltreoceano: la rivista “The Studio”, edita a Londra e a New York, pubblica la tenda “La Danza”. Sempre più intensi si fanno gli appuntamenti espositivi: Firenze, Torino, Milano; ed è proprio in questo periodo che vende i suoi ricami. A Trieste, alla Mostra di Natale e Capodanno, ottiene la medaglia dell’Enapi (Ente nazionale per l’artigianato e le piccole industrie) per le sue stoffe a maglia in morbide lane colorate.
Le clienti triestine si fanno sempre più numerose; e i modelli di Anita sono considerati all’altezza di quelli che si possono comprare a Vienna e a Parigi. La Pittoni aumenta così la sua produzione, ma pur sempre mantenendo delle qualità specifiche ben salde: perfezione tecnica, esclusività ed esecuzione manuale.

 

pittoni 9Dall’autunno del 1933 alla primavera del 1934 escono a Torino cinque numeri della rivista femminile “Lil” (lavori in lana), curati dalla Pittoni, nei quali spiega alle lettrici, in maniera semplice, come realizzare alcuni modelli. Nonostante il successo della rivista, dopo soli cinque numeri, Anita abbandona la collaborazione.

Nel maggio del 1934 Anita debutta alla Biennale di Venezia, che per la prima volta accoglie i suoi tessuti. Partecipa ad altre manifestazioni e sfilate tra le quali “La Mostra del mare” (a Trieste), dove viene applaudita per le sue bellissime creazioni: giacconi da spiaggia abbinati a costumi da bagno, realizzati con canapa, juta e lino. I suoi favolosi ed originali modelli suscitano l’interesse della “Domenica del Corriere” che le dedica un’intera pagina, è il 1935. I suoi abiti vengono definiti “vera moda italiana”: sono pratici, originali, e confezionati con i filati nazionali. Anita partecipa a varie sfilate e i suoi capi riscuotono notevoli successi ed interessamento da parte del pubblico. Lei, per realizzare le sue creazioni, utilizza i prodotti del Linificio e Canapificio Nazionale, valorizzando le fibre tipicamente italiane, che il governo fascista vuole promuovere al posto del cotone che viene dall’estero – si punta sulla valorizzazione dei prodotti nazionali e quindi su una moda autenticamente italiana.

Sempre nel ’35, Anita si trasferisce in via Cassa di Risparmio 1 a Trieste, e il suo Studio d’Arte Decorativa è pronto a ricevere nuovi ordini; continua a dirigere un corso tecnico-professionale per l’Associazione piccole industrie di Trieste, con sede in via Diaz 6. In autunno presenta la collezione di abiti sportivi femminili e maschili alla Mostra della moda di Torino e a quella di Parigi. Anche il 1936 è un anno ricco di mostre: partecipa alla VI Triennale d’arte decorativa di Minalo e vince la medaglia d’argento per le miglior stoffe, e il premio d’onore per i disegnatori tessili dell’Enapi. A Forlì durante la Mostra sulle fibre tessili nazionali, dove espone alcuni tendaggi, Anita incontra Mussolini con cui parla del lavoro artigianale femminile.

pittoni 11Nel 1937 la Pittoni propone di sviluppare piccole industrie autonome, per questo espone degli schemi che mettevano in evidenza il modo in cui deve essere organizzato il lavoro delle dipendenti, la loro preparazione, e le varie gerarchie; in oltre, prende in considerazione i costi, i prezzi, l’orario di lavoro, la pubblicità, e tutto quello che accade intorno alla produzione e distribuzione. Espone le sue nuove creazioni in fibra artificiale, all’esposizione internazionale delle arti e delle tecniche di Parigi, e viene premiata con un Grand Prix. In una foto d’arredamento, apparsa nella rivista “Domus” del ’38, troviamo anche delle tende di Anita Pittoni, la quale ottiene tanti apprezzamenti da molti architetti, tanto che decide di aprire una succursale del suo laboratorio a Milano, presso lo studio dell’architetto Pica.

Pica, nel ’39, riceve l’incarico dal comune di Milano di sistemare l’Aula Maxima del Palazzo dell’arte – sede delle Triennale d’arte decorativa. Pica decora il soffitto con un motivo gigante di aquile imperiali e la Pittoni riprende lo stesso soggetto per un arazzo, collocato nella stessa sala. L’anno successivo, l’Aula Maxima vine inaugurata alla presenza del Duce e delle massime autorità.

Nel periodo della Guerra, la sua attività ne risente molto: mancano sia i clienti che gli spazi espositivi; e Anita, in questo periodo, si dedica alla scrittura. Apre la sua casa-laboratorio di via Cassa di Risparmio che diventa il salotto per i suoi sabati letterari. La sua passione per i lavori a maglia è talmente forte che, in questo periodo, crea tanti piccoli pensieri per gli amici del suo salotto: per il poeta Virgilio Giotti crea una sciarpa, per Umberto Saba un paio di guanti di lana, e per Giani Stuparich e per il pianista Dario De Rosa due comode giacche a ferri.

pittoni 4Nel 1948 il laboratorio di Anita Pittoni chiude, per mancanza di clienti e delle lavoranti. Nonostante ciò Anita partecipa, ancora per alcuni anni, alle più importanti manifestazioni d’arte decorativa. Fonda la casa editrice “Lo Zibaldone” nel 1949, con il sostegno di Giani Stuparich; ed entra a contatto con grandi nomi della cultura italiana. Nel 1951 partecipa alla prima Mostra d’arte decorativa moderna organizzata a Trieste, dall’amico Ugo Carrà. Nel 1955 contatta Umberto Nordio – l’allora presidente dell’Istituto Statale d’Arte di Trieste, appena fondato – per chiedergli di lavorare come maestra d’arte, nella sezione tessile; ma la sua domanda non viene accolta. Per mantenere la sua casa editrice, Anita collabora con il giornale locale “Il Piccolo”.

La casa di Anita Pittoni, in via Cassa di Risparmio, viene acquistata, nel 1970, dal Lloyd Adriatico, ma lei riesce a prorogare lo sfratto per quattro anni. Successivamente si trasferisce in via Battisti 18.

Muore l’11 maggio del 1982.

Nadia Pastorcich © centoParole Magazine – riproduzione riservata

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3 Replies to “Poetessa del colore: la vita di Anita Pittoni”

  1. cesare ha detto:

    Leggendo di Anita Pittoni si respira quell’aria di antico attorno alla quale si muovevano le donne di una volta, laboriose e dotate come lei, che con grande volontà ed indubbie doti davano il meglio di loro stesse nei loro lavori e nelle loro professioni. Quasi sempre di modeste origini sapevano emergere ed eccellere nei loro campi, dimostrando spirito di iniziativa e indubbie capacità realizzative. I successi seguivano di conseguenza, mantenuti dalla costanza e perseveranza delle dotate protagoniste.
    Da queste donne, come la Pittoni, anche ai nostri giorni c’è davvero molto da imparare.

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