Interstellar: alla ricerca di un sogno

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Eppure, si possono amare la fantasia epica (quella con i laser e gli incrociatori stellari), i Dalek, Robby robot e la ‘vera fantascienza‘ (così, perlomeno, la definiscono i critici) allo stesso tempo.

E, in questi giorni in cui ‘Rosetta‘ manda i suoi primi dati dopo aver fatto atterrare (con qualche rimbalzo) il suo modulino su una cometa distante cinquecento milioni di chilometri da noi, si può uscire dal cinema entusiasti di aver visto ‘Interstellar’ di Christopher Nolan.

Se amate le sorprese, non continuate a leggere: non vi sveliamo tutto, ma parliamo di tanto. Se invece vi piace approfondire – proseguite pure.

Si tratta di uno dei pochi film, da quarant’anni a questa parte, in grado di raccogliere l’eredità di ‘2001: Odissea nello Spazio’ (1968), dopo il suo molto meno apprezzato seguito, ‘2010: l’anno del Contatto’ (nel quale aveva recitato John Lithgow, che ritroviamo nel film di Nolan). Certo, ‘2010’, pur di solido soggetto e buona sceneggiatura, aveva un compito molto difficile, non avendo Kubrick come regista e non essendo più l’idea di HAL9000 originale).

HAL 9000‘Interstellar’ sorpassa gli altri, supera ‘2010’, si avvicina come mai fatto prima d’ora a ‘2001’ e attrae al cinema tantissimo pubblico. Se avrà, come sembra dalle premesse, un grandissimo successo commerciale, potremo finalmente sperare di rivedere qualche buon adattamento dei classici d’oro della fantascienza, forse qualcosa di nuovo e originale, anziché altre decine di spinoff Marveliani e variazioni di ‘Guerre Stellari’: i grandi maestri della fantascienza hanno lasciato in eredità a Hollywood un grande tesoro, pronto per essere riscoperto dai registi e dai produttori … a condizione che superino la paura di vedere gli spettatori fuggire dalla sala al primo accenno di scienza reale e filosofia.

E qualcuno, a dire il vero, se ne va – brontolando (o sorridendo sardonico), lamentandosi per la lunghezza di tre ore e per alcuni passaggi ‘noiosi e poco verosimili’ (il commento ‘poco verosimili’, di fronte a ‘Interstellar’, è quello che fa sorridere di più).

Christopher Nolan sul set di Interstellar‘Interstellar’ non è un film per tutti: un terzo di queste tre ore di grande cinema è speso su una Terra arida e ormai inospitale, giunta alla fine del suo ciclo vitale come lo conosciamo. Una Terra deliberatamente rappresentata in modo da evocare depressione e assenza di qualsiasi speranza nel futuro: il lieto fine, per la Terra, nel lavoro di Nolan, non c’è.

C’è invece una visione del nostro mondo piuttosto cinica, che critica gli Stati Uniti, l’economia globale, le politiche mondiali: il nostro eroe non ama i militari, che accusa di ‘buttar bombe sulla gente che muore di fame’ (riferendosi alla carestia globale e alle ribellioni accadute qualche anno prima dell’inizio della storia), e non reagisce bene neppure quando sente l’insegnante della figlia dire che le missioni Apollo erano falsi elaborati (‘Capricorn One‘) e che non va bene perder tempo in fantasie d’esplorazione dello spazio quando ci sono campi da coltivare – in un pianeta che l’eroe sa essere morente.

Interstellar - John LithgowPerché la Terra muore?

Non lo capiamo bene; o meglio, ci sembra di capirlo, però poi resta il dubbio che non sia così. Il vecchio Lithgow fa riferimento al ‘cambiamento climatico’ come causa della fine prossima del nostro pianeta, ma il protagonista dice di non essere d’accordo, e quindi non si sa esattamente che cosa abbia scatenato la fine del mondo. Forse è stato il cambiamento climatico, e forse è stato proprio l’uomo, ma Nolan ci spinge a non concentrarci su quello e a non abbandonare comunque l’ambizione per il progresso e l’esplorazione.

Progetto Morpheus - motore a metano liquidoFinalmente, andiamo nello spazio (con un lancio proprio in stile ‘Missione Apollo’, coi grandi coni infuocati dei propulsori a razzo bene in evidenza, che richiamano i video dei lanci dei razzi ‘Saturno‘) – e un altro terzo di ‘Interstellar’ consiste in filosofia fatta a gravità zero, sul potere dell’amore, l’istinto di sopravvivenza della razza umana, l’effetto dei campi gravitazionali intensi sul flusso del tempo. E su chi possano essere i misteriosi benefattori che hanno dato una seconda chance all’umanità facendo apparire un buco nero proprio vicino a casa, nell’orbita di Saturno. Per arrivare a come sia possibile scegliere fra un’impossibile ‘piano A’ di salvataggio, fatto di un’astronave che non può lasciare la Terra perché la teoria che anima il suo motore non è ancora completata, e uno scassato ‘piano B’ nel quale a sopravvivere saranno (forse) qualche migliaio di ovuli congelati, da fecondare in loco, e bambini da far nascere su un pianeta ritenuto ospitale.

Targa sulla sonda PioneerNolan è straordinario, pieno di risorse: coglie l’attimo, e riesce a trasmettere sentimenti profondamente radicati nell’animo umano, come fede, coraggio e sacrificio. La scienza sembra voler continuare a lottare in eterno, per far sollevare quell’astronave – e, quando la speranza sembra perduta, c’è chi è pronto a raccogliere la sfida e a proseguire.

In “Interstellar” il Messia diventa un’astronauta, in maniera astutamente implicita – il punto, infatti, è capire perché mai questi coraggiosi esploratori siano pronti a sacrificarsi, e ad affrontare privazioni e dolore psichico come la solitudine che dura ventitré anni di Romilly (uno dei protagonisti, impersonato da David Gyasi), che aspetta aggrappato ad appena un barlume di speranza. Speranza che, a sua volta, sembra diventare via via più sottile mentre la storia si sviluppa.

Se pensate di non voler guardare ‘Interstellar’ perché in esso vengono affrontati temi religiosi, state tranquilli. Non c’è il minimo accenno esplicito alla religione in tutto il film; si arriva persino al rifiuto palese – in qualche modo estremo, chiaramente ricercato – dei personaggi di discutere di Dio di fronte alla grandezza dei fenomeni stellari che incontrano, e alla fine prossima della specie umana. Una spiegazione viene trovata nell’amore – non ci addentriamo troppo in essa, e nella filosofia del racconto, per paura di portar via troppo al piacere dello spettatore.

Interstellar - Matthew McConaugheyEd è alla qualità della sceneggiatura e della storia, e alla bravura di Matthew McConaughey, che ci si sottomette: la fede, nell’astronauta Cooper – la fede sua, e la nostra fede in lui – non vacilla mai. Egli è sempre presente, sempre pronto a cercare, e trovare, una soluzione, a tenderci una mano – accanto a lui, il robot TARS, novello e inossidabile HAL questa volta privo di malizie di programmazione e capace di scherzare, compagno dell’uomo nei momenti in cui l’uomo è solo, nel vicinissimo futuro che verrà. E forse nostra evoluzione.

Cooper è uomo di devozione, amore, coraggio, intelligenza: pieno di risorse, indistruttibile. L’intera struttura narrativa crollerebbe di colpo, in un attimo, se lo spettatore, donna o uomo, non riuscisse a identificarsi in McConaughey (non è in Anne Hathaway – brava, non travolgente – o in Jessica Chastain – piacevole, meno brava – che la donna moderna riesce a identificarsi, ma proprio in Cooper); ma Cooper diventa subito il tuo eroe, perché è anche divertente, rispetta le regole, è serio ed è un po’ pazzo, ne sa di scienza ma cerca anche di divertirsi, è un uomo che piange, e ha sempre paura, mentre si butta lo stesso a capofitto nell’ultimo tentativo di salvare il mondo e la sua bambina rimasta a casa. Un eroe che ammiri, ma che non è arrogante: un po’ stile ‘vecchio film’. Un eroe che non si trovava più.

I robot di Interstellar - TARSI robot (TARS e CASE – KIPP, il terzo robot, fa solo una breve apparizione) richiamano alla mente sia HAL (per l’acutezza delle loro azioni e il modo di interfacciarsi e relazionarsi con l’uomo) che 3PO e C1 (R2) di ‘Guerre Stellari’: non annoiano, sono a tratti divertenti, si fanno da contraltare l’un l’altro, e li vedi tornare in azione anche dopo averli dati per spacciati. Difficilmente avremmo pensato di poter ritrovare, in un film, un robot parlante che non ci facesse venir subito voglia di trasformare istantaneamente in rottami.

Cooper e MurphLa vera stella del film è la bambina. Mackenzie Foy affascina da subito: bellissima (è una modella – cosa ormai consueta, che ci fa ricordare Natalie Portman in ‘Leon’ – e anche un po’ pensare a quanto il ‘bello’ stia diventando inscindibile dal ‘bravo’), e sorprendentemente viva e capace di coinvolgere. Il modellino del ‘Lunar Lander‘, rotto dal ‘Fantasma’ e che lei porta al papà, ci emoziona altrettanto, e sembra un riferimento a un sogno di nuove frontiere nato nel 1969 e poi infrantosi col passare del tempo.

Infine, quindi, tre ore in cui non ci si annoia mai nonostante l’azione sia poca e il conflitto violento sia uno solo (con Matt Damon che non riesce – non per colpa sua – a non fare ancora una volta il personaggio negativo, traditore e un po’ maniaco); tre ore realizzate con una stupenda fotografia dove (finalmente) il ruolo della computer grafica è ridotto allo stretto necessario, e dove la scienza, quella vera, è sempre a fianco del protagonista, al punto da rendere difficile capire che cosa succede.

Avrà un grande successo di pubblico, ‘Interstellar’, nell’era dei prodotti preconfezionati e della ‘sceneggiatura via Facebook?’ Pensiamo, speriamo di si.

Questo film piace, nonostante i suoi (pochi) difetti (niente è perfetto). Come grandissimo merito, ha già avuto quello di ridestare l’interesse per questo tipo di fantascienza.

Ponti di Einstein RosenE, se il Tesseratto, i ponti di Einstein-Rosen e il Continuum spazio temporale sono difficili da comprendere e da rappresentare in un film, non dobbiamo stupircene: Albert Einstein rifiutò di partecipare a un consesso nel quale si voleva spiegare la sua Relatività al pubblico, dicendo che non sarebbe stato capace di farlo. Eppure, la Relatività esiste.

‘Rosetta’ atterra sulla cometa, in cerca di aminoacidi – in cerca della vita – vita giunta sulla Terra forse dallo spazio. ‘Interstellar’ finisce.

Restiamo inquieti, certi di non esser soli nell’immensità dello spazio – il solo poter pensare di essere noi, come Uomo, l’elemento centrale dell’universo, ci sembra incredibile, e troppo superbo.

SETI at homeCe ne andiamo, mentre in noi si fa pian piano strada la certezza che è stato un bel sogno, ma che l’Uomo, oltre a non essere il centro dell’Universo, sia troppo piccolo per realizzarlo: questi compagni di vita, questi essere diversi da noi che forse non potremmo comprendere, che cerchiamo da anni e che certamente dimorano là, da qualche parte, non potremo raggiungerli con facilità.

 

 

 

Roberto Srelz © centoParole Magazine – riproduzione riservata

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One Reply to “Interstellar: alla ricerca di un sogno”

  1. cesare ha detto:

    Non ho visto “Interstellar”, ma certamente posso capire il divario sempre più breve che oggi intercorre fra fantascienza e realtà. La sensazione che la fine di questo mondo acceleri sempre di più per noi terrestri, stando anche a quanto è dato vedere nei mutamenti più repentini della Natura che ci circonda, porta ad interessarsi a cose che vanno oltre il nostro pianeta, con uno sguardo attento a quelle che potrebbero essere altre realtà di vita. Poi, il pensiero di non essere soli nell’Universo, non può che consolarci, aprendo spiragli di nuovi orizzonti di possibile comunicazione ed anche futura convivenza (?), con chi, come noi, dovesse abitare i Grandi Spazi!

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